Stadi, strade, porti e terminal gli scempi delle grandi opere

La_Repubblica-logoFocus a cura di Anna Donati di Green Italia pubblicato su Repubblica.it – 

Opere usa e getta, da abbandonare al loro destino dopo la corsa agli appalti. Opere immaginate per accontentare clientele più che per soddisfare bisogni reali. Opere progettate al di fuori dei vincoli della legislazione ordinaria in modo da avere mano libera per soddisfare obiettivi non dichiarabili. Sono queste, secondo Anna Donati, l’esponente di Green Italia che ha sempre seguito il turbolento dibattito sulle grandi opere, i vizi d’origine dell’impostazione che per alcuni decenni ha moltiplicato cemento e inchieste giudiziarie, asfalto e arresti. «Per molti anni si è andati avanti così, con una lunghissima lista di opere pubbliche inutili o addirittura dannose ma capaci di procurare benefici economici e politici a chi le promuoveva», accusa Anna Donati argomentando l’affermazione con numeri e nomi che popolano una lunghissima stagione di scandali iniziata negli anni del boom (la strada che a Roma ha spaccato in due Villa Pamphili resta un marchio sulle Olimpiadi del 1960) e rilanciata dagli interventi a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta. Ecco una sua ricostruzione delle vicende più clamorose. Mondiali «Italia‘90» (1990). E’ uno dei primi casi in cui si applica in modo sistematico il principio degli appalti senza gara. Il risultato è una serie di opere costruite in fretta e mai realmente finite perché spesso i lavori di risistemazione sono andati avanti fino al momento di una precoce demolizione.

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