Renzi e la resistibile attrazione dei fossili
Articolo di Monica Frassoni su Linkiesta –
Nel furore riformatore renziano alcune tematiche si perdono per strada e questioni fondamentali come la politica energetica dell’Italia, dimenticate dal dibattito pubblico, diventano preda facile delle lobby più retrive. Sono questioni che chiedono di essere ridiscusse, se si vuole creare una certa discontinuità con i governi precedenti e se si vuole intraprendere quella radicale inversione di rotta necessaria per evitare di arrivare a luglio con una Presidenza europea troppo “inquinante”.
Dopo il successo del pacchetto Clima Energia 202020, l’Ue deve ora decidere la sua posizione per il 2030, su cosa punteremo in vista dei negoziati sul clima di Parigi nel 2015? efficienza energetica e rinnovabili tramite obiettivi vincolanti a livello Ue, o soldi pubblici a gas di scisto, carbone “pulito”, nucleare e costose infrastrutture per trasportare gas, il tutto attraverso la fissazione di un unico target, poco ambizioso di riduzione di emissioni Co2.
Questa è la discussione energetica in corso ora a Bruxelles, con una decisione prevista nel bel mezzo della Presidenza italiana: al Consiglio europeo di ottobre.
L’Italia non ha ancora una posizione ufficiale ed è stata messa in piedi una “cabina di regia” coordinata da Palazzo Chigi. Pare comunque che il Presidente del Consiglio non abbia ancora considerato la questione, mentre il Ministro Guidi e il sottosegretario De Vincenti, corifei di Confindustria, spingono per la posizione più retriva e conservatrice, il Ministro Galletti, poi, non pare disposto a fare una vera battaglia su questo tema. Sappiamo che scadeva ieri il termine di una richiesta esplicita di Germania e Danimarca all’Italia di sottoscrivere un appello per target ambiziosi per l’efficienza energetica, non è chiaro, però, se sia già stata data una risposta.
L’eco-indifferenza del Presidente del Consiglio rafforza giorno dopo giorno la lobby fossile. Così si spiegano le decisioni prese dal governo il 13 giugno, su come ridurre le bollette delle PMI: una posizione punitiva nei confronti delle rinnovabili. Queste decisioni marcano un punto a favore della lobby confindustriale contro ogni sviluppo dell’agenda energetica “non fossile”. Una crudele beffa, quando la maggior parte delle imprese che risentiranno negativamente di questa decisione sono proprio delle PMI!
Il Governo ha scelto di obbligare le imprese produttrici di rinnovabili a scegliere tra il pagare una tassa o il ridurre retroattivamente gli incentivi, spalmandoli su più anni. Decisine presa in un contesto di dibattito pubblico inesistente. Gli incentivi restano, invece, immutati per i fossili – per i quali sono ingenti – e le proposte alternative presentate non vengono nemmeno prese in considerazione. È bene, inoltre, ricordare che se da una parte si colpiscono le rinnovabili in modo retroattivo, si conferma la decisione di sostenere con 1,2mld di euro in 20 anni una centrale a carbone nel Sulcis, con tecnologie per ora del tutto virtuali ma già costosissime come il CCS (nel decreto Destinazione Italia). Come si vede, ci sono settori che sfuggono ai tagli.
Secondo quale logica la riduzione delle bollette per le PMI deve passare attraverso la penalizzazione dell’unico settore energetico (insieme a quello dell’efficienza) che ci prepara all’uscita dalla dipendenza dei fossili, che ci aiuta a diminuire la nostra dipendenza energetica e le emissioni e che non inquina?
La prima ragione è che questo settore sembra essere una vittima facile. La lobby “fossile” è attiva, unita, ricca e organizzata. L’ “industria sostenibile”, senza protettori politici di peso, è vittima ormai da tempo di una campagna di diffamazione che si sta dimostrando molto efficace.
Quando sentite la frase “certo, rinnovabili ed efficienza vanno bene, ma bisogna investire in tutte le tecnologie per non restare a secco: abbiamo bisogno di tutte le fonti energetiche” oppure “le energie rinnovabili sono una buona cosa, ma hanno fatto esplodere le bollette” potete accendere l’allarme rosso: è propaganda fossile.
Perché dietro a questi argomenti si nasconde in realtà la partita sulle scelte strategiche dei prossimi anni in Italia e in Europa, con il loro inevitabile corredo di investimenti e sussidi pubblici. Se vince l’idea che non c’è alcuna urgenza di scegliere e che tutte le tecnologie “nuove” e che si dice siano di minore impatto di C02 rispetto a petrolio e carbone (ad es. gas convenzionale o di scisto, CCS e nucleare) stanno sullo stesso piano di efficienza e rinnovabili, allora non servirà fissare target ambiziosi per le rinnovabili e l’efficienza. Come spesso dice Squinzi, basterà fissare un target modesto di riduzione delle emissioni giusto per evitare di fare figuracce a livello dei negoziati internazionali sul clima e poi ognuno faccia quello che vuole.
Pur dopo aver pubblicato essa stessa un documento che prova che il gas di scisto non è una prospettiva seria per uscire dalla dipendenza energetica, la Commissione Ue ha aperto la possibilità di presentare progetti di ricerca per l’estrazione del gas di scisto in Europa per un valore di 130mln di euro nel quadro del programma Horizon 2020, sottraendo così risorse preziose per la ricerca in energie “sostenibili”. Nel frattempo, importanti responsabili della Banca Europea degli Investimenti, numerosi ministri e rappresentanti industriali sostengono che il caro-energia sia dovuto agli incentivi alle rinnovabili, quando la Commissione europea stessa ha scritto nero su bianco che la causa del differenziale di costo con altre regioni del mondo sono le tasse, unite all’alto costo delle materie prime importate (quindi la nostra dipendenza energetica) e, solo in misura minore, gli incentivi alle rinnovabili. Su questo tema la stessa Commissione europea ha scritto qualche mese fa (cancellando, non a caso, subito dopo il dato dal documento) che gli incentivi diretti per le rinnovabili ammontavano nel 2011 a circa 30mld di euro, al nucleare 35mld (sì, avete letto bene) e altri fossili 26mld. Infine, è sempre la Commissione Ue che spiega in un documento della Direzione Generale Economia e Finanze che il costo dell’energia incide poco sulla competitività delle imprese e, comunque, essendo il sistema europeo più efficace di quello americano il differenziale di prezzo non è un problema così grave, rispetto a qualità dei prodotti o alla capacità di rispondere ai cambiamenti dei mercati.
L’Italia, nonostante tutto, rimane uno dei paesi con il maggiore potenziale in termini di efficienza energetica, con la produzione di energie rinnovabili tra le più importanti d’Europa e con un basso livello d’intensità energetica del sistema produttivo. Negli anni scorsi sono stati creati centinaia di migliaia di posti di lavoro nell’industria delle rinnovabili e, come spiega il rapporto Green Italy 2014 di Symbola, le imprese che investono e assumono sono in buona parte imprese che utilizzano tecnologie “verdi”. L’intensità di “lavoro” nelle tecnologie verdi è maggiore rispetto ai settori tradizionali.
Dobbiamo descrivere un percorso di transizione dalla dipendenza dei combustibili fossili, dai quali non possiamo smettere di dipendere in due mesi, ma se “accompagnare” la transizione significa continuare ad investire nei prossimi decenni denaro pubblico in tecnologie come il gas di scisto, la cattura di carbonio, la fusione nucleare e quindi rallentare gli investimenti e lo sviluppo di politiche sull’efficienza energetica e rinnovabili, allora questa transizione sarà molto più lenta ed esitante. È indispensabile fare emergere la posta in gioco a Bruxelles e il significato di decisioni apparentemente tecniche come il finanziamento della riduzione della bolletta alle PMI, cercando di riorientare e rendere meno “fossile” l’azione del Governo Renzi.
Serve un’azione forte e coordinata delle forze sociali e politiche “ambientaliste”, al momento ancora sparpagliate, e un ampio dibattito pubblico: bisogna che l’industria “sostenibile” si organizzi e passi al contrattacco. In Italia e in Europa, per rispondere alle false verità che dominano i conciliaboli nei corridoi di governo e parlamento, dobbiamo dimostrare che un nuovo modello di sviluppo è alle porte e che è il contributo giusto per uscire dalla crisi.