L’ultimo paradosso greco: il vero alleato di Tsipras è Angela Merkel
Articolo di Monica Frassoni su Huffington Post –
Siamo in quattro, tutte donne, mediterranee e “diversamente verdi”; oltre a me, che co-presiedo il Partito verde europeo, ci sono Mar Garcia, segretaria generale del Partito verde europeo, Vula Tsetsi, segretaria generale del gruppo parlamentare al Pe, Gwendoline Delbos-Cortfield, membro dell’esecutivo dei verdi europei e consigliera regionale nel Rhone-Alpes. Sbarchiamo ad Atene un lunedì pieno di sole per capire meglio cosa si muove dentro il nuovo potere greco e anche come se la cavano i Verdi greci, alleati minoritari di Syriza e per la prima volta al governo con un viceministro responsabile all’ambiente Giannis Tsironis, nell’ambito dell’importante ministero alla ricostruzione, ambiente ed energia tenuto dell”hardliner” della sinistra di Syriza Panayotis Lafazanis.
Nessuna di noi pensa di riuscire a capire tutto in meno di due giorni. Ma i Verdi europei sono da anni impegnati in una battaglia contro l’austerità “Uber Alles” dai toni e contenuti ben diversi da quelli di critica poco attenta alla costruzione di proposte alternative della sinistra radicale, e dei socialdemocratici, il più delle volte incapaci di scegliere un deciso cambio di rotta delle fallimentari politiche di austerità (bla-bla a parte) e quindi mosci e senza visione nel dibattito europeo. Perché noi sappiamo che non c’è lotta al cambiamento climatico e Green New deal senza un’Europa forte e unita.
Una parola torna continuamente nei nostri colloqui: il tempo, che manca e che non si vede perché non debba essere concesso. E un’immagine, quella della corda al collo. Il messaggio che ci viene dato, da tutti, compreso il ministro delle finanze Varoufakis, – molto “cool” e determinato, esattamente come appare su riviste e giornali – è molto semplice. Dal giorno uno, la Grecia e l’Eurogruppo stanno in una battaglia navale su diversi livelli, nel quale i ministri delle finanze, i funzionari Ue e nazionali, il governo greco capiscono che la cosa migliore sarebbe trovare un accordo e che si tratta di poca roba ( un paio di miliardi di euro entro fine aprile di fronte ai rischi di una Grexit?) ma la realtà è che l’intenzione degli europei è di non cedere nulla politicamente al governo di Syriza, per lo più per ragioni di politica interna: se questa crisi sta facendo una vittima è l’abitudine dei governi e della Commissione a pensare ed agire “europeo”, in una corsa suicida alla ri-nazionalizzazione di tutto o quasi.
Ma anche il vecchio detto “punirne uno per educarne 100” è ben presente. Esiste ciò che noi Verdi denunciamo da un famoso discorso di Dany Cohn-Bendit davanti al Pe nel 2010: come nel 2010, anche oggi è assolutamente impossibile che in due mesi un nuovo governo possa avere un piano totale e organizzato di smantellamento di corporazioni e poteri avendo al collo la spessa fune della mannaia europea.
Da Atene, l’atteggiamento rigido e burocratico di buona parte dell’Eurogruppo e della Commissione europea appare molto di più come un braccio di ferro di natura politica e una sorta di gioco assurdo nel quale si rischia il Mad (Mutual assured distruction) che una discussione genuina su misure concrete fra creditori e debitori ben disposti l’uno verso l’altro. La discussione sui punti del programma pare un gioco fra il gatto e il topo, con il gatto che diventa topo e viceversa, perché siamo tutti in una barca fragile. Viene il sincero dubbio che ci sia davvero una capacità reale – dalle due part i- di definire delle misure possibili e riflettute e che oramai siamo entrati in un braccio di ferro con ampie dosi di “testosterone” e reciproca avversione, testimoniata anche dal fatto che i funzionari europei sono praticamente reclusi all’hotel Caravel e il 1° aprile lo scherzo più in voga è stato l’annuncio attribuito a Varoufakis che se i negoziati con l’Eurogruppo falliscono, la Grecia passerà al bitcoin! A riprova di questo, la pubblicazione ieri delle misure specifiche del piano, che accetta alcune privatizzazioni, ma non prevede tagli alle pensioni, sono state accolte molto freddamente e anche un po’ distrattamente, dato che si pensa che la partita è politica, dovrà attendere ancora qualche giorno ed è davvero incerta.
Comunque, se è evidente che se in poche settimane non si fa una rivoluzione e non si cambia un paese, è anche vero che non tutto quello che si vede dietro l’immagine quasi cavalleresca che i suoi sostenitori europei danno di Tsipras e del suo governo riflette un corso “nuovo”, anzi; vecchi poteri e corporazioni non hanno ancora lasciato il loro posto.
Alcuni nostri interlocutori ci dicono candidamente che non ci sono neppure riunioni regolari del Consiglio dei ministri e che ognuno sta col naso sul volante con addosso il timore di un fallimento che ancora pochi considerano possibile, ma che emerge come non più impossibile. E non ci mettiamo molto a capire che anche nel governo Tsipras ci sono anche quelli che con la scusa dell’emergenza, preparano decisioni estremamente negative, che metteranno altre serie ipoteche sulla ripartenza del paese. Da chi corre a Bruxelles per farsi sbloccare i soldi per costruire nuovi hotel a cinque stelle e chi vuole continuare nella deregulation ambientale, a chi, come il ministro della Ricostruzione ed energia Lafazanis ti dice con un sorriso gentile che bisogna assolutamente spendere più di un miliardo di euro in una nuova mega centrale a carbone, fare un accordo per le trivellazioni di gas e petrolio con i russi, aprire miniere d’oro in piena zona turistica, evitare di fare troppo eolico e per non dipendere dai tedeschi (anche perché le rinnovabili sono carissime) e altre amenità che di nuovo non hanno assolutamente nulla.
Senza contare, naturalmente, la perigliosa alleanza con Anel e il suo controverso leader, stretta, dicono qui, nell’idea di coprire il forte fronte conservatore, togliendo terreno a Samaras, ma accompagnata da dichiarazioni e azioni che hanno avuto un impatto negativo certo dentro e fuori il Paese, dove gli allarmi di un’evoluzione nazionalista pericolosa e addirittura di nuove connivenze con vecchi poteri sono più che lanciati da intellettuali e opposizione.
Tutto ciò detto, quale credibilità e fiducia si può dare a burocrati (e politici) che scrivono cose allucinanti come che misure votate all’unanimità da un parlamento eletto a favore dei senza tetto sono “misure unilaterali” in contrasto con gli accordi dell’Eurogruppo? Questi sono i funzionari europei che rappresentano l’interesse comune? E Padoan, che rappresenta anche me nell’Eurogruppo, davvero la pensa così? La realtà tristissima che vediamo in faccia ad Atene è che con tutti i limiti e difetti della Grecia, i governi e la Commissione europea non ci pensano neppure a cambiare verso e che la Commissione Juncker, a parte qualche tentativo di moral suasion del suo presidente è ormai ridotta al Segretariato non tanto del Consiglio europeo, bensì dell’Eurogruppo, organo neppure previsto dai Trattati.
E allora, sorprendentemente, nell’ignavia generale di funzionari e governanti, tra gli strilli ottusi di nordici pieni di pregiudizi, l’inconcludenza dei francesi, indisponibili a scollarsi dai tedeschi, Rajoy che è peggio dei nordici per paura di Podemos, Renzi che lavora tanto discretamente nelle retrovie, che non riesce a cambiare gran che, la nostra incapacità di mobilitare “le masse”, perfino da Atene appare molto chiaro che chi si conferma come unica salvatrice possibile è sempre e solo lei, Angela Merkel. L’unica che, alla fine dei conti pare trattare Tsipras quasi alla pari, l’unica che sembra cosciente dei rischi e allo stesso tempo capace di prenderne la misura e di agire davvero, dopo i catastrofici errori suoi e di chi pensa di parlare e agire in suo nome. Questa percezione, vera o fasulla che sia, ci sorprende si e no, e non ci consola, anche perché non è una particolare assicurazione contro futuri disastri. E’ la sconsolata ammissione che, nel vuoto di destri e sinistri e in questa Europa da rilanciare, le parole e i programmi oramai hanno rivelato la loro insufficienza. O ci rimbocchiamo le maniche e troviamo davvero il consenso, la capacità di mobilitare le persone e la forza per cambiare strada, o alla fine bisognerà contare solo sulla saggezza di chi il potere ce l’ha e non ha intenzione di mollarlo.