Vogliono demolire il Piano Paesaggistico della Sardegna

Alessio Satta
Delegato Regione Sardegna FAI già direttore della conservatoria delle coste

Ci risiamo. Dopo un lungo balletto in Consiglio regionale, la Giunta sardo – leghista guidata da Christian Solinas è riuscita ad approvare con 30 voti a favore e 20 voti contro la legge 153 per l’interpretazione autentica del Piano paesaggistico regionale. La legge che è passata conferma un obiettivo primario che a partire dal 2009, dopo la caduta del governo di Renato Soru, ha visto tutte le giunte che si sono succedute sia di destra sia di centro sinistra, e quella attuale, impegnate a demolire il Piano Paesaggistico Regionale (PPR) e di eliminare il potere di tutela dello stato in tema paesaggistico sancito dalla nostra costituzione. Una legge alquanto originale che auspica un sabotaggio degli attuali sistemi di tutela per riaprire la fiera della costruzione di case vista mare. Cubi di cemento sulle coste vendute a prezzi esorbitanti e rifilati a lungimiranti magnati russi o a sedicenti sceicchi arabi da mille e una notte.

Il refrain è sempre lo stesso. Il PPR sarebbe un vincolo allo sviluppo turistico dell’isola. Un ostacolo a quella idea di sviluppo obsoleta e inefficiente dal punto di vista del benessere delle comunità locali. Una idea di sviluppo legata esclusivamente all’apertura di nuovi cantieri, dalla breve durata, e alla speculazione immobiliare. Gli esperti “sviluppatori” dopo aver contribuito a consumare suolo pregiato in maniera irreversibile saluteranno l’isola lasciando l’ennesima cattedrale di cemento, vuota e improduttiva. Una storia che si ripete dal secondo dopoguerra, quando la Sardegna fu interessata dal declino di una delle sue più importanti attività economiche, l’estrazione mineraria. La riconversione fortemente voluta dalla politica del tempo, si mosse però verso un modello di sviluppo polarizzato e fondato sul petrolio e sulla chimica, che ha lasciato ovunque nell’isola dolore, disagio sociale e un forte inquinamento ambientale. Purtroppo, sono i numeri a dire che la Sardegna non ha nulla da invidiare ad altre regioni italiane quanto a inquinamento. Le aree Sin (siti di interesse nazionale da bonificare) si estendono per quasi 57mila ettari, collocando l’Isola al secondo posto della poco edificante classifica, dopo il Piemonte. Ci sono zone in Sardegna dove non è possibile tenere una piantina di basilico in casa per evitare il rischio di mangiare un sugo pomodoro e basilico al piombo. La nostra classe politica preferisce tenere la testa sotto la sabbia e continuare a legiferare per svendere al migliore offerente le nostre coste vergini e il nostro paesaggio millenario mentre si sta lasciando ai nostri figli un’eredità pesantissima, fatta di tumori e una lista infinita di malattie autoimmuni.

Ma torniamo al PPR e all’ossessione con cui una grossa fetta di politica sarda, da destra a sinistra, vuole distruggere il PPR. Questi novelli paladini del verbo edile che interpretano come unico sviluppo possibile della Sardegna l’applicazione dall’equazione “cemento=sviluppo” in auge negli anni 60. La vera domanda riguarda la necessità di capire se in Sardegna sono necessarie nuove case e nuovi alberghi. Secondo la CNA, Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa, nell’isola ci sono 261.120 abitazioni vuote: il 28,2% del totale del patrimonio edilizio. Metà dello stock residenziale non utilizzato si trova in nuclei urbani piccoli o piccolissimi. Nell’Isola si contano 143 centri con meno di dieci abitanti e con un numero di case vuote pari a 5.531. Questo dato aumenta sino a 17.191 abitazioni se si considerano i 307 piccoli insediamenti con popolazione compresa tra 10 e 49 residenti. Un patrimonio incredibile che potrebbe essere riqualificato e destinato alla ricettività diffusa, un modo per rivitalizzare molti piccoli borghi dell’interno destinati a scomparire nonostante abbiano spesso caratteristiche storico-architettoniche di rilevante interesse. E in questo caso si che il turismo potrebbe rappresentare una opportunità straordinaria per il rilancio sociale ed economico di molti territori della Sardegna interessati dallo spopolamento. Chiarito l’aspetto delle case vacanze, qualcuno potrebbe effettivamente obiettare che sono necessari nuovi alberghi. Ebbene, in Sardegna gli alberghi contano su un indice di occupazione poco sopra il 50% d’estate, molto vicino allo zero nel resto dell’anno dove la maggior parte delle strutture sono chiuse. Si contano sul palmo di una mano i casi virtuosi di alberghi in zona costiera che sono aperti più di sei mesi l’anno. E mentre la nostra classe politica continua a tenere la testa nella sabbia e le mani nel cemento, l’Europa con il suo Green Deal prova ad orientare il futuro del nostro continente verso una trasformazione economica innovativa e intelligente puntando sulla ristrutturazione del patrimonio pubblico, sulla realizzazione di infrastrutture verdi per aumentare la resilienza delle nostre comunità agli impatti ambientali e climatici. Eppure la pandemia da COVID-19, ancora in corso, ci ha insegnato che inizieremo ad usare meno l’areo per viaggiare con mezzi alternativi, sempre più vicini ai luoghi di residenza, accordando la nostra preferenza a piccoli centri, lontani dalla confusione metropolitana e ad elevato valore ambientale. Esattamente quello che la Sardegna può offrire ancora oggi se riusciremo a mettere fine al tentativo di saccheggio dei nostri beni più preziosi.