Un green new deal italiano per uscire dalla crisi
Un patto in forza del quale benessere ed equità sociale convivono con una significativa riduzione del rischio ecologico e della pressione sulle risorse naturali. Così l’Unep, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’ambiente, definisce il green new deal.
Una nuova visione dell’economia e dello sviluppo è una necessità inderogabile per fronteggiare i crescenti problemi ambientali del nostro Pianeta: la crisi climatica ormai conclamata, prodotto di un modello energetico non più sostenibile basato sul petrolio e sui combustibili fossili; la perdita accelerata di biodiversità e il consumo eccessivo di suolo naturale; l’inquinamento atmosferico che colpisce specialmente le grandi aree urbane; l’impoverimento, in quantità e in qualità, delle risorse idriche.
L’Italia per la sua storia, per alcuni caratteri originali della sua struttura economica e sociale, ha una vocazione speciale al green new deal.
Se è green l’economia che produce benessere e prosperità senza intaccare il capitale naturale, allora si può dire che l’Italia l’economia verde l’ha inventata, l’ha praticata con successo, prima di tutti gli altri: è la green economy che da secoli produce ricchezza utilizzando come materie prime la bellezza, la creatività, la convivialità, la qualità urbana, il legame sociale e culturale tra economia e territorio; materie prime ecologiche, talenti dei quali abbondiamo e che oggi sono la nostra arma migliore, forse l’unica vera arma su cui possiamo contare, contro i rischi di declino.
La green economy non vuol dire solo la promozione di nuove attività e nuova occupazione, ma anche adattamento e ricondizionamento dell’esistente. Per dare un futuro solido e sostenibile all’economia italiana bisogna che questa lezione, su cui già oggi migliaia di imprese costruiscono successo, competitività, capacità di resistere meglio alla crisi, diventi l’anima delle politiche per un rinnovato ma diverso sviluppo. Dobbiamo archiviare per sempre il “modello-Ilva” – lavoro contro salute – e l’idea, illusoria oltre che eticamente inaccettabile, che la strada per accrescere la nostra capacità competitiva sia nei bassi salari e nella riduzione dei diritti sindacali. L’Italia, insomma, deve ricominciare a fare l’Italia, puntando sulle sue vocazioni ed eccellenze – manifattura ed agricoltura di qualità, turismo, economia della cultura, ricerca e innovazione tecnologica –, e rischiarando le sue troppe zone d’ombra che gravano anche sulla vita economica: illegalità, inefficienza dello Stato, debolezza dei sistemi educativi e formativi, arretratezza e insostenibilità ambientale della rete dei trasporti, pessimo stato, particolarmente nel Sud, delle infrastrutture ambientali
Per una politica di rilancio dell’economia orientata dai principi dello sviluppo sostenibile consideriamo obiettivi prioritari:
- il 100% di energia rinnovabile entro il 2050;
- il miglioramento di almeno il 30% del rendimento energetico del patrimonio edilizio esistente entro vent’anni e standard di edilizia a energia “quasi-zero” per il nuovo costruito dal 2020; azzeramento del consumo di nuovo suolo entro il 2030;
- priorità assoluta al recupero di materia nella gestione dei rifiuti;
- spostamento di almeno il 20% entro 10 anni del trasporto di passeggeri e merci dai veicoli privati a motore tradizionale alle diverse forme e tipologie di mobilità sostenibile (trasporto pubblico urbano, trasporto in comune come “car-sharing” e “car-pooling”, mobilità ciclabile, ferrovia, cabotaggio, veicoli a trazione elettrica).