Un bel compleanno per la Ue a Roma. E adesso?

Articolo di Monica Frassoni su Huffington Post –

Sarà stato il clima tiepido, la magnificenza di una Roma meno invasa da traffico e rumore, l’impatto di due giornate intense e di amici venuti da tutta Italia ed Europa per ritrovarsi sotto la stessa bandiera blu e con lo stesso spirito militante e “insubordinato” di tanti anni fa, perfino il sorriso forse sincero sul viso di solito arcigno della premier polacca vestita di giallo squillante, ma io credo che il 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma sia stato un momento positivo di unità e di ritrovata spinta ad agire per l’ideale di un’Europa unita e solidale.

Nonostante la vera e propria campagna messa in atto in Italia da tv e giornali, che, perfino sotto il sole romano e nell’evidenza di una tranquillissima giornata, hanno parlato di “città blindata, deserta o spettrale“, l’insistenza sprezzante sulla “vuota retorica” delle celebrazioni e la visibilità data soprattutto alle voci “contro”, sabato 25 marzo è stato per me e per moltissimi altri anche un momento di festa e di celebrazione di un cammino largamente positivo. Sì, una celebrazione. Non è stato tutto retorica.

E comunque ogni tanto, anche la retorica, intesa come “parole alte”, è necessaria a ricordarci che viviamo un momento storico nel quale la responsabilità di proseguire sulla strada verso una “Unione sempre più stretta fra i popoli” è di tutti e non solo dei nostri mediocri governanti, tutti impettiti a firmare una Dichiarazione che ha soprattutto il merito di esistere.

Non capisco come anche tanta parte del fronte progressista e della sinistra si lasci prendere da una depressione cupa, che copre con le attuali frequenti sconfitte grandi vittorie passate che sono anche nostre, dai diritti all’ambiente, alle libertà di starsene ovunque in Europa, a una serie di leggi e risorse che noi spesso abbiamo ignobilmente sprecato, ma che sono comunque state messe a disposizione.

Questi 60 anni hanno rappresentato una grande vittoria europea contro la nostra stessa storia. È esattamente per questo che non possiamo rimanere fermi a lamentarci, sognare l’eliminazione subitanea di “questa” Europa per fare posto a un’altra che verrà non si sa come, perdere tempo a giocare con prospettive complicate e fallaci come l’uscita dall’euro.

Il buttare giù per ricostruire dopo è stata la grande illusione di quelli che hanno votato contro il Trattato costituzionale in Francia nel 2005, che hanno “vinto” favorendo l’ascesa del neonazionalismo di destra e di sinistra e non di una “nuova” Europa. Un tragico errore di cui paghiamo ancora oggi le conseguenze.

Né possiamo fare come Renzi, che spara un giorno sì e l’altro pure sulla Ue e i suoi “burocrati”, ma ha dimostrato che la sua idea di “flessibilità” è prioritariamente orientata non a trasformare le politiche di educazione e formazione, economiche, industriali, energetiche in modo da produrre nuova occupazione e uno sviluppo sostenibile, ma a concedere mance elettorali e a elargire favori a questa o quella lobby, dai concessionari autostradali ai trivellatori. Francamente, ben venga allora la Commissione a dire che, con il livello del nostro debito pubblico, bisogna evitare questi inutili sprechi, pur se la sua ricetta per ridurlo è altrettanto sbagliata.

Per me, è proprio per continuare sulla strada oggi quasi perduta di una Unione forte e coesa che deve essere dura, intransigente ma anche precisa e costante la battaglia contro la “grande coalizione” che s-governa l’attuale Ue, sospinta da venti neo-nazionalisti e guidata da governi perlopiù di destra, con i socialisti ridotti spesso a rincorrerne ricette e slogan.

Questa battaglia politica deve articolarsi su tre assi portanti: in primo luogo, una proposta economica e di investimenti chiara, che porti con sé il rifiuto del fiscal compact nei trattati, la ripresa del tema dell’Unione bancaria e della mutualizzazione del debito, la scelta della transizione verde, la fine di una politica industriale centrata sulla diminuzione del costo dei salari e sui regali ai settori fossili in Italia e in Europa.

In secondo luogo, è necessario riprendere la mobilitazione intorno ai diritti e alla democrazia in Europa e non solo: la signora Merkel non aveva del tutto torto quando ha affermato il suo stupore nel vedere migliaia di persone in piazza contro il Ceta o il Ttip, ma poche per i migranti e nessuno per la Siria (o, aggiungiamo noi, i democratici russi o turchi o contro Orban e i nazionalisti polacchi).

Non dobbiamo sottovalutare la potenza di mobilitazioni sui temi di libertà, soprattutto di fronte a leader politici e media così miopi come quelli che ci ritroviamo. Il nazionalismo estremista di destra di Salvini e Le Pen (e per certi versi Grillo) è cosi potente perché si pensa che abbia consenso.

Dopo gli eventi in Austria, Olanda e anche dopo le manifestazioni del 25 marzo, organizzate soprattutto grazie ai federalisti e ad alcune importanti organizzazioni come Arci e Legambiente, mi pare che sia ora di capire che si possa vincere anche tenendo un discorso positivo e intransigente su una società aperta e su una Europa dei diritti.

In terzo luogo, dobbiamo cominciare a fare passare l’idea che le elezioni del 2019 saranno un momento assolutamente cruciale per capire se l’Ue si sfascerà o no e se sarà possibile “cambiare rotta” davvero. Liste transnazionali, prospettiva di una riforma profonda e democratica dell’Ue, con l’eliminazione del potere di veto, la “retrocessione” dell’Eurogruppo a semplice riunione di uno dei tanti Consigli tematici, pieni poteri legislativi al Parlamento europeo, la ripresa del lavoro sulla costituzione.

Questi sono solo alcuni dei temi che non devono dormire in programmi e documenti, ma devono diventare iniziativa politica ampia, tra la gente, in Italia coinvolgendo altri Europei e in Europa essendo presenti e attivi nei nostri partiti e in reti di associazioni, così come nei tentativi di azione transnazionale e plurale che stanno emergendo.

Pascal Durand, eurodeputato dei Verdi francesi (nipote di un esule antifascista italiano) e Juan Carlos Monedero, fondatore un po’ ortodosso, ma lucido, di Podemos, lo hanno detto bene nel corso dell’evento organizzato da DiEM25 a Roma: noi abbiamo il dovere di riprendere la grande idea di Altiero Spinelli e altri quando erano prigionieri a Ventotene, quello di una Europa libera e unita.

Ora, dopo la mobilitazione, forse non oceanica, ma reale e positiva di sabato a Roma, che ha coinvolto tante persone di orizzonti molti diversi, non possiamo lasciare cadere come un soufflé il lavoro per un’Europa diversa e ripiombare nel tran-tran delle dispute nazionali. Altrimenti, senza una proposta chiara e un’aggressiva visibilità di un’Europa alternativa e possibile, anche noi contribuiremo a fare del 25 marzo solo una bella giornata di dichiarazioni vuote e inutili.