Se pagheremo di più le bollette è colpa soprattutto degli sconti alle industrie energivore
Articolo di Monica Frassoni su Huffington Post –
L’annuncio dell’aumento dei costi della bolletta si traduce in una nuova offensiva pro-gas e contro le rinnovabili da parte del più importante giornale italiano, spesso inspiegabilmente scettico sulle rinnovabili. Nell’intervista sul Corriere della Sera di oggi a Tabarelli, direttore di Nomisma, si vuole fare credere, pur senza dirlo direttamente, che la responsabilità dell’aumento dei costi in bolletta è delle rinnovabili e che il gas è un’alternativa simil-verde più a buon mercato e dunque via a gasdotti e ri-gassificatori. La realtà è ben diversa.
Le rinnovabili non c’entrano niente con gli aumenti. Anzi, è lo stesso governo che riconosce che il costo per incentivi in bolletta – come previsto – si sta riducendo e nel 2018 sarà di 12 miliardi. In Germania se ne pagano oltre 20. Preciso peraltro che il decreto che regola gli incentivi per le rinnovabili fotovoltaiche è scaduto il 31 dicembre 2016. Siamo quindi in ritardo di un anno e le imprese del settore vivono nell’incertezza del futuro: l’Italia è sempre meno un paese per rinnovabili, nel 2016 ha ridotto e le emissioni sono ripartite.
Invece uno dei motivi veri dell’aumento in bolletta, che Tabarelli dimentica, è lo “sconto” alle industrie energivore che verrà pagato dagli altri consumatori, comprese le famiglie. In pratica, le imprese energivore pagano di meno per quello che consumano e inquinano e il costo va in bolletta. Uno sconto accettato dall’Unione europea dopo lunghe trattative e giustificato dal fatto che i grandi consumatori in Italia pagano di più della media europea. Vero. Peccato però che nel concedere lo sconto il Governo non abbia imposto a quelle aziende energivore alcun impegno per diventare più efficienti; nessuna prospettiva di miglioramento da questo punto di vista; altra dimostrazione che, esattamente come succede con i concessionari per le scelte in materia di trasporti e le priorità infrastrutturali, in Italia le scelte vere sull’energia le fanno le imprese energivore e l’Eni.
Per il gas sta aumentando il costo dei titoli di efficienza energetica (certificati bianchi) che si pagano in bolletta: è vero. Ma il motivo è che il Gse, con l’apparente motivo di risparmiare, sta mettendo sempre più ostacoli al conseguimento degli stessi da parte delle aziende che fanno efficienza e così sul mercato ci sono sempre meno certificati e per la legge della domanda/offerta il loro valore che era sempre stato sui 100 euro ora è balzato a 350. Quindi è sempre colpa delle scelte politiche: che sono particolarmente miopi perché invece di rafforzare il nostro sistema manifatturiero che è più efficiente di altri e valorizzare produzioni che rendono meno “energivori” edilizia e trasporti, si continua a pensare che per risparmiare si può tagliare su tutto anche su strumenti indispensabili per favorire la de-carbonizzazione della nostra economia e si considera che investire milioni in nuove infrastrutture di gas, che è e rimane un combustibile fossile, sia compatibile con gli impegni presi a Parigi: impegni che non sono un’amichevole raccomandazione, ma l’ultima chance di ridurre l’impatto che già si rivela devastante di un clima sregolato.
La discussione intorno al ruolo del gas ha preso in Italia e in Europa una svolta interessante. A suon di soldi spesi in eventi, pubblicazioni e lobbies (100 milioni di euro nel 2016 secondo Corporate Europe Observatory) a Roma e Bruxelles sta passando l’idea che il gas è un’alternativa sostenibile e che la “transizione” verso un “lontano” mondo a rinnovabili impone ora investimenti pubblici e privati milionari in infrastrutture; anche se è l’ultima cartuccia di un mondo, quello fossile, che sa di avere gli anni se non i minuti contati, dare retta a questi argomenti può costarci molto caro: si verificherebbe un “lock-in effect”, cioè saremmo inchiodati per anni ad una tecnologia o una fonte di energia dalla quale sarebbe troppo costoso liberarsi; che ci piaccia o no, puntare sul gas entra in diretta competizione con gli investimenti ingenti che sarebbero necessari per rendere efficienti il nostro patrimonio edilizio e i trasporti e per fare ricerca sulle tecnologie di stoccaggio delle rinnovabili che renderebbero progressivamente superflue la maggior parte delle centrali oggi esistenti, a partire da quelle più obsolete.
Ci sarebbe ancora moltissimo da dire su questo argomento, anche considerando il fatto che in Europa in queste settimane si stanno discutendo delle nuove normative in materia di efficienza energetica, rinnovabili, Energy Union e l’Italia sta giocando un ruolo modesto se non di retroguardia. Ecco, questo sarebbe un bel tema da campagna elettorale!
Senza inutili semplificazioni o atteggiamenti ideologici, la discussione su come rispondere ai colpi del clima e al tipo di industria, di organizzazione del lavoro, di città e di mobilità che questo richiederà sarebbe una bella partita sulla quale confrontare numeri alla mano chi sta con l’innovazione, l’efficienza, le rinnovabili e chi invece preferisce i fossili e sta con la testa pervicacemente voltata all’indietro.