Se il Tav Torino-Lione diventa il demonio oppure Dio
Articolo di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffington Post – Forse cominciano a capirlo. Anche i paladini più decisi del Tav Torino-Lione forse cominciano a capire che se il dibattito, il contraddittorio si costruiscono su un terreno troppo astratto e sostanzialmente estraneo alla materia stretta del contendere, questo conviene soprattutto ai pensieri – e ahinoi non soltanto ai pensieri – per i quali l’astrazione dalla realtà è il pane quotidiano. Come sono le azioni criminali – poco importa se sia corretto chiamarle “terrorismo” – di queste settimane contro le linee e gli impianti della rete ferroviaria ad alta velocità.
La responsabilità di questi atti – va sottolineato mille volte – è solo e soltanto di chi li compie, ma essi mostrano l’estrema dannosità del modo drogato in cui da anni si sviluppa lo scontro tra no-Tav e sì-Tav. Si sta parlando di una grande infrastruttura, non del demonio o di Dio, eppure i fronti più estremi dei favorevoli e dei contrari la trattano come un simbolo assoluto: appunto, come un’astrazione.
Chi scrive, anche questo è bene dirlo per evitare apparenti equilibrismi, è convinto che il Tav Torino-Lione sia un’opera inutile e inutilmente costosissima: l’Italia ha un bisogno urgente di far viaggiare le merci di più sui treni e di meno sui tir, ma se oggi questo non sta succedendo – se ancora meno che altrove succede attraverso la frontiera italo-francese – non è per mancanza di treni veloci ma per mancanza di un’opera ancora più grande che si chiama volontà politica. Per dirne una: mentre ci si accinge a spendere svariati miliardi per costruire la linea ferroviaria ad alta capacità da Torino a Lione, a pochi chilometri da dove sorgerà la mega-galleria si sta scavando un altro tunnel, questa volta autostradale, che raddoppierà o quasi la quantità di merci trasportate sui tir.
A queste nostre argomentazioni se ne possono opporre altre ugualmente razionali (anche se a nostro avviso più fragili…). Ma nella guerra di religione che contrappone da oltre un decennio no-Tav e sì-Tav di questo “merito” quasi non c’è traccia. Per gli uni la nuova linea ferroviaria è metafora dell’oppressione dello Stato contro la comunità indifesa della Val di Susa, emblema del capitalismo rapace e globalizzato: nulla di particolarmente nuovo, così non stupisce che l’idea affascini qualche intellettuale con nostalgie rivoluzionarie. Per gli altri, la Torino-Lione è simbolo supremo del “Progresso” con la P maiuscola, e chi si oppone è un reazionario.
Queste due visioni hanno in comune il disinteresse pressoché totale per la realtà: la realtà della domanda di trasporto delle merci e dei passeggeri e dei modi più efficaci per soddisfarla, la realtà del fatto che quest’opera non assomiglia né alla “locomotiva” dei ricchi pieni di “velluti e ori” cantata da Guccini – “salì sul mostro che dormiva…” – e nemmeno ai soviet più l’elettrificazione che per i comunisti impersonavano le magnifiche sorti e progressive.
Vie d’uscita da questo trionfo d’irrealtà? Non moltissime. Da una parte, certo, bisogna fermare i criminali che vorrebbero, nella più generosa delle ipotesi, mandare in tilt la nostra rete ferroviaria. Dall’altra, però, sarebbe provvidenziale se i fautori del Tav Torino-Lione si convincessero anche loro che alla fine si sta parlando pur sempre di due binari e di un bel buco in una montagna, che magari non si farà mai per la ragione assai poco religiosa che mancano i quattrini. Non si sta parlando del demonio e nemmeno di Dio.