Roma soffoca, il tempo stringe

Articolo di Roberto Della Seta sul Corriere della Sera –

Il dibattito meritoriamente aperto su queste pagine da Sergio Rizzo rilanciando l’idea di trasferire all’Eur i ministeri, mi ha fatto tornare in mente un libro scritto 30 anni fa da mio padre Piero: «I suoli di Roma». Piero era un dirigente comunista, fu assessore nelle prime amministrazioni di sinistra con Argan e Petroselli ed è stato autore di ricerche ricche e originali sulle distorsioni dello sviluppo urbano di Roma capitale.

Nel suo saggio (cui anch’io collaborai) sosteneva una tesi azzardata, per l’epoca e per un comunista, e che allora suscito aspre polemiche; sosteneva che il fascismo varò una legislazione urbanistica dai tratti «sostanzialmente innovatori e dai risultati estremamente avanzati, che i governi democristiani degli ultimi quarant’anni non hanno nemmeno sfiorato». In particolare a Roma, questa ispirazione oggettivamente riformista produsse pratiche di governo «per certi aspetti rivoluzionarie», prima fra tutte la realizzazione dell’Eur che rifletteva l’idea di sviluppare Roma verso il mare e avvenne secondo criteri totalmente pubblicistici attraverso l’esproprio di oltre 400 ettari ai privati. Naturalmente l’urbanistica fascista presenta anche molte zone d’ombra, basti pensare nel caso di Roma al diffondersi delle borgate, vere e proprie bidonville nostrane, e agli sventramenti nel centro storico per fare posto a Via dell’Impero e a Via della Conciliazione.

Ma a distanza di oltre settant’anni colpisce e un po’ intristisce la differenza tra alcune scelte di allora, certo segnate dall’ideologia imperialista del fascismo ma che esprimono una visione comunque coerente del futuro della capitale, e i decenni successivi: a lungo dominati dallo strapotere degli interessi legati alla grande rendita fondiaria dei vandali in casa raccontati da Antonio Cederna – e sistematicamente caratterizzati da una crescita a macchia d’olio che ha visto venire su intorno al raccordo anulare, talvolta sotto il segno dell’abusivismo e quasi sempre senza un vero disegno urbanistico, tanti brandelli di città privi di identità, con servizi inadeguati, di infima qualità sia architettonica che edilizia.

Quando la sinistra negli anni ‘70 conquistò il Campidoglio, si parlò abbondantemente del Sistema direzionale orientale, cioè della possibilità di concentrare verso est le funzioni amministrative di Roma capitale. Fu un dibattito interessante ma rimase soltanto tale, poi Roma continuò a crescere senza direzione e senza qualità e anche il dibattito su questi temi è appassito, soprattutto per difetto, io credo, di una classe dirigente cittadina (non solo politica) non all’altezza dei problemi e dei bisogni di una grande città europea. Oggi che Roma è in condizioni sempre più immobili e degradate, sistema anarchico di tante città slegate tra loro e con periferie che vivono del tutto alienate, logisticamente e socialmente, dal corpo urbano; oggi che i temi dello sviluppo urbano intrecciano nuove sfide e nuove consapevolezze (limitare il consumo di suolo, liberare le città dall’assedio paralizzante e asfissiante delle auto), non c’è più molto tempo per ricominciare a discutere sul serio di cosa fare di Roma, né per tradurre questo provvidenziale confronto in azioni che fermino il precipizio della nostra città.

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