Questione morale: nelle parole di Berlinguer una profezia sul Pd
Articolo di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffington Post –
“I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela (…).Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un ‘boss’ e dei ‘sotto-boss’. (…) Tutte le ‘operazioni’ che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un’autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un’attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti”.
Tre anni prima di morire, Enrico Berlinguer descriveva così, in un’intervista divenuta celebre a Eugenio Scalfari, quella che per lui rappresentava un’urgente, drammatica “questione morale“.
Berlinguer parlava dei partiti – Dc e Psi soprattutto – che governavano l’Italia da decenni, per contrapporre a questa politica degenerata la “pulizia” del Pci (che pure, bisogna dire, da tempo non era immune dagli stessi vizi). Ma quella sua denuncia, che anticipò di parecchi anni l’esplosione di Tangentopoli, fa oggi l’effetto di una dolente profezia sul Pd, che anche della storia dei comunisti italiani ha raccolto l’eredità.
Sì, oggi la definizione di “macchina di potere e di clientela” si adatta bene anche al Partito democratico. La geografia di questo “potere” e di questa “clientela” ricalca quasi al millimetro, lo scriviamo con dispiacere perché nel Pd abbiamo militato e abbiamo creduto, la geografia dell’Italia.
La Sicilia dove nell’ultima campagna elettorale il candidato Fiandaca, autorevolissimo esperto in lotta alla criminalità organizzata, non si è fatto problemi a partecipare a iniziative fianco a fianco con quel Crisafulli noto alle cronache per le sue “interlocuzioni” con acclarati boss mafiosi.
La Puglia dove il Pd è finito coinvolto mani e piedi nelle indagini su corruzione e clientelismo nella sanità regionale, e dove a Taranto l’ex-deputato Ludovico Vico, che al telefono con lo staff dei Riva prometteva di far “buttare sangue” ai pochi che nel suo partito si opponevano al massacro di salute e ambiente compiuto dai padroni dell’Ilva, ricopre attualmente l’incarico di responsabile per le politiche del lavoro nel partito regionale.
Il Lazio dove il gruppo regionale della scorsa legislatura venne più che lambito dallo“scandalo Fiorito” e dove però “per magia” alcuni di quegli stessi consiglieri per questo non ricandidati in regione oggi si ritrovano parlamentari e protagonisti della vita, invero non tanto onorevole, del Pd romano.
La Campania dove nessuno ha mai pagato per la vergogna delle primarie “inquinate” del 2011 con cui si doveva scegliere il candidato sindaco a Napoli.
Il Piemonte dove un deputato venne “beccato” a chiedere voti a un boss della ‘ndrangheta per le elezioni comunali del 2011, e ancora oggi viene considerato “innocente perché non sapeva” dal presidente della regione Chiamparino.
La Sardegna dove Francesca Barracciu prima è stata “cassata” dal Pd di Renzi come candidata a presidente della regione e dopo poche settimane è stata premiata dallo stesso Renzi con un posto di sottosegretario.
Per finire “in bellezza” con i due scandali recentissimi dell’Expo 2015 di Milano e del Mose di Venezia: l’Expo, con il Pd che ancora deve spiegare perché Greganti sia stato riammesso nella “famiglia” e perché con i soldi della rassegna mondiale su alimentazione e lotta alla fame si finanzino autostrade inutili, fatte apposta per alimentare il circuito della corruzione, come la Brebemi o la Pedemontana; e il Mose, opera da 7 miliardi di euro realizzata – chissà perché? – malgrado la bocciatura di ben due ministeri (ambiente e beni culturali), con il patetico tentativo dei dirigenti democratici di scaricarsi la coscienza sostenendo che “il sindaco Orsoni non ha la tessera del Pd” e negando i rapporti ombelicali tra il partito (quello attuale, quelli da cui è nato) e il “Consorzio Venezia Nuova”.
Questi casi e moltissimi altri che si possono citare non indicano tutti, necessariamente, un Pd di corrotti. Ma mostrano bene il “brodo primordiale” da cui la corruzione prende forma e si sviluppa: è il brodo di una politica abituatasi da decenni a intrattenere rapporti opachi e sotterranei di scambio e di reciproca convenienza con i poteri economici (poteri talvolta legittimi, altre volte no).
Il punto naturalmente non è se la politica debba o meno avere rapporti con gli interessi: certo che deve. Il punto è che tali rapporti devono costruirsi e mostrarsi alla luce del sole, e che non va mai annullata la distinzione tra chi deve decidere nell’interesse generale e chi difende interessi e convenienze privati o comunque parziali.
Allora Matteo Renzi: sarebbe già moltissimo ma non basta cacciare i ladri. Occorre anche che il Pd, questo tuo Pd che per speranza o per disperazione – sentimenti tutti e due nobilissimi – ha ottenuto il voto di 12 milioni di italiani, cominci a essere quello che non è mai diventato: un luogo dove chi chiede il consenso dei cittadini testimoni con i comportamenti, non solo con le dichiarazioni, un rigore etico e una distanza dagli “affari” che sono gli unici veri antidoti alla corruzione e al dilagare dell’antipolitica.
Questa scelta è tanto più urgente per un Partito democratico plebiscitato dal 40% degli elettori, carro “appetitoso” sul quale tentano e tenteranno di salire faccendieri di ogni tipo. Rottamare la politica opaca che da troppo tempo è il pane quotidiano di tanti nel Pd e che rischia di diventarlo ancora di più domani: questa la sfida più importante che deve vincere Renzi, questa la “riforma istituzionale” che va realizzata per prima.