Privatizzare i servizi? Prima studiamo il modello Milano
Articolo di Francesco Ferrante e Roberto Della Seta sul Corriere della Sera ed. Roma –
Esasperazione: è il sentimento comune dei romani quando vedono e vivono lo stato dei servizi in città. Strade sporche e cassonetti dei rifiuti tracimanti – al centro come in periferia -, autobus archeologici, metropolitana spesso in tilt, ora ci avvertono che ad agosto non avremo acqua 8 ore al giorno.
Poiché questo disastro è gestito da aziende di proprietà pubblica, è comprensibile che a partire dal caso di Atac, il più eclatante visto che l’azienda oltre a essere totalmente inefficiente è anche sostanzialmente fallita, qualcuno pensi di risolvere il problema “rivolgendosi al mercato”. Comprensibile ma illusorio. Intanto non tutti i servizi possono essere gestiti secondo logiche di mercato: vi sono linee di autobus periferiche o raccolte di rifiuti in zone decentrate e poco abitate inevitabilmente in perdita ma che comunque vanno garantite. Poi l’esperienza dice che nel caso dei servizi pubblici locali l’equazione gestione privata uguale più efficienza non funziona. Quando nei referendum del 2011 venne bocciata con una schiacciante maggioranza l’idea di privatizzare il servizio idrico, su quella scelta pesò molto la difficoltà dei “privatizzatori” di citare esperienze positive. Chicco Testa su queste pagine ha esaltato la liberalizzazione della gestione dei rifiuti a Parigi, dove in metà dei quartieri la raccolta è effettuata da privati. Peccato che Parigi tra le capitali europee sia una di quelle dove la gestione del ciclo dei rifiuti è meno efficiente e sostenibile, e che “Le Monde”, il più autorevole giornale parigino, in un recente réportage sul tema abbia citato come esempio virtuoso Milano, dove un’azienda pubblica grazie a quella gestione integrata del ciclo (raccolta ma anche gestione degli impianti) prevista dalla Legge Ronchi 20 anni fa offre un ottimo servizio ai cittadini e ha reso Milano la metropoli europea con la più alta percentuale di raccolta differenziata. D’altra parte, tornando a Roma, non pare proprio che l’ingresso di privati abbia migliorato l’efficienza di Acea: 44% di perdite dagli acquedotti a fronte del rischio attuale di razionamento.
Lo stato disastroso in cui versano le aziende pubbliche romane è dovuto all’uso che ne ha fatto la politica, gonfiandone a dismisura gli organici e trascurando ogni tipo di controllo. Anche il più sfrenato liberista concorderebbe sulla necessità di un severo controllo pubblico in caso si volesse affidare a privati i servizi locali. Dunque non ci sono scorciatoie: unica strada resta ridare dignità alla politica.