Nuovo parlamento e consiglio europeo, i candidati ignorati

Articolo di Monica Frassoni su Huffington Post

In occasione della conferenza stampa di Marine Le Pen, che se ne stava come una star attorniata dai rappresentanti dei partiti che la sostengono, non si è potuto fare a meno di notare che l’allegro gruppetto non soddisfa ancora i requisiti per fare un gruppo autonomo al Parlamento europeo. I numeri sono sufficienti, ma non le nazionalità, dato che ci vogliono rappresentanti eletti in 7 diversi paesi per costituire un gruppo; analogo problema ha l’altro trionfatore dell’euroscetticismo, professionale, Nigel Farage, per anni oscuro “backbencher” e oggi superstar della politica inglese da esportazione.

È probabile che entrambi alla fine, pescando qualche deputato sperso qua e là riusciranno a formare un gruppo, unico modo per contare qualcosa a Bruxelles; ma per ora si realizzano i pronostici di chi diceva che molti deputati euroscettici si, ma divisi, non formano necessariamente una presenza influente al PE. Nonostante il chiasso mediatico e le promesse di Le Pen e compagni di rivoltare l’UE come un calzino, i giochi si stanno comunque giocando altrove, intorno alla scelta del prossimo Presidente della Commissione europea.

Questa sarà una prova non facile per il nuovo Parlamento e il Consiglio europeo.

In questa campagna elettorale c’è stata una novità (qualcuno dice una forzatura): la nomina da parte delle 5 famiglie politiche europee più importanti dei loro candidati alla Presidenza della Commissione. Juncker, Schulz, Verhoefstad, il duo verde Keller/Bove e Alexis Tsipras hanno creato per la prima volta e nonostante la resistenza di molti grandi media nazionali, un minimo di dibattito e di competizione europea.

I Capi di stato e di Governo si sono riuniti in una cena informale e hanno discusso appunto di questo.

Secondo il Trattato, sono loro che devono scegliere (a maggioranza) il Presidente della Commissione “tenendo conto dei risultati elettorali”; formula interpretata dal PE come l’obbligo di scegliere tra i candidati designati dai partiti europei, di cui tutti i Capi di Governo fanno parte. Ma non tutti i governi la pensano allo stesso modo e questo potrebbe provocare una grossa (e salutare) battaglia fra il PE e i governi. Il PPE è oggi il primo gruppo per importanza al PE e il suo candidato, Jean Claude Juncker, dovrebbe essere il primo a ricevere l’incarico di formare la nuova Commissione. Ma all’uscita della cena informale dei Capi di Stato e di Governo, il suo nome non è neppure stato menzionato. Del resto anche Renzi ha detto chiaramente “prima i programmi e poi i nomi” e si ricorrono varie ipotesi, da Pascal Lamy a Christine Lagarde, passando per Letta o chissà chi altro.

È più che evidente che se i governi nominassero un nome fuori dalla rosa dei cinque, si esporrebbero al rischio di vedere il loro candidato/a respinto dal PE. Infatti, non è solo una questione di nomi. Se il Parlamento europeo cedesse alla pretesa del Consiglio europeo di imporre il nome del successore di Barroso, vedrebbe il suo potere messo a repentaglio all’inizio di una legislatura, che ha come sfida maggiore quella della riconquista del cuore e della fiducia degli europei, attraverso un cambio netto di politiche, ma anche il rafforzamento della democrazia in Europa. Tutti i gruppi hanno già detto che non accetteranno di essere messi davanti al fatto compiuto. Il punto quindi non è solo politico, ma anche di rapporti di forza istituzionale.

Questa situazione è difficile anche per il nuovo Parlamento, soprattutto se, alla fine delle consultazioni, venisse scelto un candidato/a più attraente e prestigioso dei campioni “disponibili” Juncker e Schulz. In particolare, Juncker è visto come l’apostolo dell’austerità che ha messo il turbo al voto euroscettico ed è inviso non solo a molti governi, ma anche a numerosi eurodeputati; Juncker ha già detto di non essere disponibile a guidare la Commissione se la sua nomina dovesse dipendere dai voti eurofobi e quindi cerca il sostegno a tutto campo.

Dopo qualche giorno di pausa, martedì prossimo ricomincerà il giro delle riunioni frenetiche a Bruxelles.

Nel caso in cui il Consiglio europeo decidesse di andare oltre le scelte dei partiti europei, sono curiosa di vedere come si comporteranno i neo-eletti deputati di Renzi e che cosa sceglieranno, se la fedeltà al capo o le ragioni della democrazia sovranazionale. Insomma, siamo nel bel mezzo di un groviglio politico e istituzionale; ma almeno, per una volta, si tratta di una battaglia davvero europea. (continua…)