L’Italia e l’Europa non hanno bisogno di gas ma di svolte verdi in economia e politica
Articolo di Monica Frassoni sul Manifesto
Alla vigilia di una campagna elettorale e in presenza di un dibattito mediatico poco attenti ai problemi e alle opportunità creati da un clima sempre più sregolato, due recenti avvenimenti sono all’attenzione delle cronache internazionali. Il primo è il One Plant Summit di Parigi voluto da Macron sui finanziamenti per il clima, a due anni dall’accordo della COP21 e a poche settimane dalla conclusione inconcludente della COP23 a Bonn; il secondo è l’esplosione a Baumgarten che ha provocato qualche anomalia sul flusso di gas verso l’Italia, ma che soprattutto ha dimostrato ancora una volta che la dipendenza dai combustibili fossili si paga. E a caro prezzo.
Per quanto riguarda il summit di Parigi, senza dubbio un agit-prop di quel talento e un tale parterre di prestigio sono utili: è passato chiaramente il messaggio che siamo in gravissimo ritardo e che l’unica via d’uscita è accelerare la trasformazione della nostra economia.
Oggi ci sono moltissimi soggetti, pubblici, privati, istituzionali e no, che ci mettono e la faccia e un flusso crescente di denaro; ed oggi esistono tecnologie capaci di cambiare in meglio il nostro impatto sul clima e sulle risorse del pianeta.
Ciò che però Macron ha omesso di dire è che oggi la politica (quella francese, ma in realtà tutta quella europea) non è affatto coerente con questa appassionata chiamata alle armi “verdi”. Dal rinvio dello smantellamento del nucleare, alle esitazioni sulle energie pulite (la Francia è, insieme a Olanda e Lussemburgo, uno dei tre paesi che non raggiungerà i target europei per le rinnovabili al 2020), al rifiuto categorico, condiviso da Italia, Germania e Spagna, di aprire una reale discussione sugli ingentissimi sussidi ai fossili che le partecipate pubbliche generosamente concedono (112 miliardi all’anno nella Ue), anche Macron continua a parlare bene e a razzolare malissimo.
Quindi ben vengano eventi zeppi di ospiti glamour, ma è chiaro che non è così che raggiungeremo l’obiettivo della de-carbonizzazione (0 emissioni nette) dell’economia europea entro il 2050 e daremo il giusto contributo alla riduzione globale delle emissioni climalteranti entro fine secolo.
Mission Impossible? Macché. Proprio il parterre finanziario di ieri, compresi esponenti di banche e imprese spesso arricchitesi con i fossili, dimostra che ci vuole una sinergia virtuosa tra leggi che pongano target vincolanti di riduzione delle emissioni, aumento delle rinnovabili e dell’efficienza energetica da un lato e investimenti pubblici e privati per raggiungerli dall’altro. Perché i privati intervengano in modo serio bisogna che il rischio di investire in fossili, gas compreso, divenga tale da spingere tutti a mollarli al più presto. È una tendenza già in atto, ma ancora troppo lenta.
Nonostante le belle parole, oggi molti governi (compreso il nostro) litigano a Bruxelles con Commissione e Parlamento per ridurre al minimo la portata e l’ambizione delle nuove norme su efficienza e rinnovabili in discussione. In fondo non credono che il problema sia poi cosi urgente.
Proprio questa mancanza di convinzione è più che evidente nelle reazioni all’incidente di Baumgarten. Forse la rinnovata scoperta della nostra dipendenza dal gas altrui ha provocato una qualsiasi riflessione sull’urgenza di renderci indipendenti da fossili e importazioni? O ha fatto notare che la Commissione europea (non Greenpeace) ha detto che aumentando al 30% entro il 2030 l’efficienza energetica si potrebbero ridurre le importazioni di gas del 40%?
Assolutamente no! Anzi: per risolvere il problema si pensa bene di buttare via milioni di euro in nuove infrastrutture per diversificare la fornitura di gas (vedi le dichiarazioni di Scalzi o Calenda) in un esercizio già visto di disinformazione di massa.
Questo atteggiamento, che è trasversale, denota una profonda e molto mascolina dipendenza anche culturale dai vecchi poteri industriali e fossili (uno su tutti, Eni) e una persistente indifferenza all’enorme potenziale dell’economia “verde”.
A ridosso delle elezioni sarebbe invece importante fare emergere e pesare questi temi, che comportano scelte di campo precise, nel dibattito pubblico e nella scelta degli elettori.
Sappiamo benissimo dove una vittoria di Berlusconi e Salvini ci porterebbe, né può certo consolarci l’inconcludenza del M5S. Penso perciò che, al di là delle inevitabili critiche o sarcasmi sulla possibile intesa dei Verdi e di altri ulivisti con il Pd o sulle foglioline di Liberi e Uguali, sia assolutamente necessario ritrovare nella grande sfida della lotta ai cambiamenti climatici ragioni sufficienti perché tornino a remare nella stessa direzione, se non ancora nella stessa coalizione, le forze di un centrosinistra che, per avere una chance di vincere, oltre a essere unito deve anche essere molto più verde.