La lezione politica delle elezioni austriache per l’Ue e l’Italia

Alexander_Van_der_Bellen_Oestereich_Paesitent_2016_Gruen_AustriaArticolo di Monica Frassoni, co-presidente del Partito Verde Europeo per greenreport.it

Penso spesso, forse perché sto invecchiando, che la mania del giovanilismo a tutti i costi sia veramente futile. Alexander Van der Bellen è signore di 72 anni e la sua cultura ed esperienza non sono sicuramente estranee alla calma serafica, al sottile senso di umorismo e alla non banalità del messaggio con cui ha inaugurato ieri in un bel giardino e dietro un podio semplice i suoi sei anni alla presidenza della Repubblica austriaca.

Un breve discorso, per dire parole distensive e positive al suo Paese, affermando che è stato un bene che questa campagna fosse cosi accesa perché nessuno è rimasto indifferente, tutti hanno parlato, hanno litigato e hanno voluto partecipare; è positivo che non si sia indifferenti alla politica. E con le divisioni e le differenze di opinioni e di cultura si puoò convivere nel rispetto e vivere bene. Questo è il cuore del messaggio. Di fronte alla rabbia e all’esclusione dell’altro, di fronte all’Austria zuerst(prima), l’idea di un’Austria felix nella quale c’é davvero posto per tutti. Se è necessario ascoltare gli esclusi e gli arrabbiati, è anche necessario che ci si ascolti reciprocamente. «Mi aspetto di essere ascoltato», dice Van der Bellen con un sorriso. La sua conclusione è un programma di lavoro: conquistare la fiducia degli elettori di Hofer e partire dal valore simbolico del 50/50 elettorale: siamo uguali, dice. Abbiamo lo stesso peso. Due metà del “bel Paese” che è l’Austria.

Penso sia necessario partire dalle parole di Van Der Bellen per trarre alcune osservazioni dallo scrutinio austriaco. Prima di tutto, anche se le elezioni appena passate sono nazionali – anzi l’espressione massima del voto nazionale – è evidente che il loro significato va ben oltre i confini di un Paese dalla storia illustre, ma piuttosto piccolo. Media e opinione pubblica hanno seguito con il fiato sospeso la partita, perché in qualche modo hanno sentito che li coinvolgeva e adesso ognuno sta interpretando in salsa nostrana ragioni e tendenze. È stato cosi anche per le elezioni greche o per il referendum sulla Brexit, le elezioni francesi o tedesche o spagnole. Questo è un punto che deve essere non solo considerato, ma spinto e coltivato e addirittura reso più forte.

Se vogliamo costruire una democrazia europea, come anche Van Der Bellen in un suo recente discorso ha ribadito, allora dobbiamo spingere e “organizzare” un dibattito europeo, dare voce e spazio a forme continentali di espressione e informazione, perché ormai siamo davvero interdipendenti. I referendum su questioni europee, per esempio, dovrebbero coinvolgere tutti i cittadini del Vecchio continente. E alle elezioni europee, ci dovrebbero essere una parte dei deputati eletti su liste transnazionali. La politica invece rimane saldamente ancorata solo alla dimensione nazionale, con effetti sempre più deleteri: ognuno fa riferimento solo ed esclusivamente al supposto interesse del “suo” elettorato e tende perciò a disinteressarsi totalmente degli effetti sugli altri, anche se stanno a un tiro di schioppo e condividono problemi e opportunità.

La seconda considerazione è che Van der Bellen non ha adattato il suo discorso e le sue motivazioni per vincere il voto dei moderati. Ha detto e ripetuto che lui non crede che l’Europa attuale sia abbastanza unita, e dunque abbastanza efficace, e ha argomentato a favore di un’Unione europea federale. Ha duramente criticato il governo di Feydmann per l’agitazione sul Brennero, avvertendo che bisogna stare molto attenti prima di ferire con qualsiasi misura il simbolo della libera circolazione delle persone e delle merci che rappresenta; ha detto che Vienna deve diventare una capitale “ecologica” e che i rifugiati sono un’opportunità da cogliere al volo.

Insomma: un discorso e un programma radicalmente alternativo rispetto non solo ai Freiheitlicher di Norber Hofer, ma anche a quello della grande coalizione in carica e che è emersa come la grande perdente di questa partita elettorale. Come in Germania, in Francia, in Spagna, anche in Austria i socialdemocratici pare abbiano perso l’anima e si muovono come pugili suonati dando un colpo a destra e uno a sinistra, ma incapaci di avere davvero una linea politica coerente. La vittoria di Van der Bellen, impensabile fino a poco fa, è un’altra faccia del disfacimento della grande tradizione socialdemocratica del centro Europa e dell’incapacità dei partiti tradizionali di capire la massima di Jean Marie Le Pen: «Non fidatevi delle imitazioni, votate l’originale». Solo chi si batte contro le false soluzioni dei nazionalisti populisti, non con l’indignazione inconcludente, ma con proposte chiare, ha delle chance di batterli. Non certo chi li rincorre.

È evidente che nei prossimi anni si gioca per i Verdi una partita importantissima, soprattutto in quei paesi, che non sono pochi, dove stanno emergendo come l’alternativa più netta e chiara alla deriva populista e all’austerità che, nonostante abbia ampiamente provato la sua inefficacia, continua a dominare le politiche europee. In Svezia, Portogallo, Grecia sostengono o fanno parte di governi complicati; in Spagna, Irlanda sono appena tornati in parlamento. In Austria, Olanda, Belgio, Finlandia, Lussemburgo, Svizzera, Germania,  sono in crescita. Nel Regno Unito sono risolutamente alla testa del fronte pro-Europeoe anti-Cameron, con il Labour che balbetta e si divide. In Francia sono in una delle loro crisi ricorrenti, ma hanno una classe politica e una rappresentanza eletta locale molto forte. A differenza della sinistra estrema, non si sono fatti tentare dall’antieuropeismo sovranista e sono molto più liberi da vincoli ideologici e di schieramento della sinistra tradizionale. In Austria (Tirolo) e Germania (Baden Wuttenberg) governano con i conservatori. Non per una particolare convergenza ideologica, anzi. Nel primo caso per evitare di dare il potere ai Freihetlichen (il partito di Norbert Hofer) e nel secondo a causa del tracollo dei socialisti.

Restano fuori da questo quadro in movimento positivo l’Est Europa e soprattutto l’Italia. Ma questa è un’altra storia.