La lezione della COP per l’Italia e per l’Europa

pannelli_solariArticolo di Francesco Ferrante su La Stampa.it –

Il messaggio di Marrakech è chiaro: nonostante Trump, il mondo va avanti nella lotta contro il climate change. Si apre una prateria per la Cina nelle tecnologie green: l’Europa, e soprattutto l’Italia, sapranno sfruttare questa opportunità?

Tra qualche ora si concluderà la COP22 di Marrakech con una dichiarazione finale che ribadirà l’e-sigenza di intervenire contro i cambiamenti climatici in atto; confermerà gli impegni presi un anno fa a Parigi; e auspicabilmente conterrà qualcosa di più preciso sulle risorse economiche che (i paesi ricchi) devono mettere concretamente sul piatto. Troppo poco? Comunque non molto di più o di meno di quanto fosse lecito aspettarsi da un appuntamento esplicitamente transitorio tra Parigi e il 2018, l’anno in cui si dovrà davvero metter mano agli impegni di riduzione delle emissioni di ogni singolo paese. Impegni che, come è noto, ad oggi non sono sufficienti a impedire l’aumento di 2 gradi della temperatura globale del Pianeta rispetto all’era pre-industriale, e tanto meno entro 1,5 gradi come consiglierebbero gli scienziati dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) dell’Onu.

Un appuntamento inutile quindi? Assolutamente no. Per almeno tre ragioni.

La prima riguarda proprio il luogo dove si è svolta la COP: un paese africano. Questo ha consentito di stressare l’importanza di trovare le risorse per uno sviluppo di quei paesi che non si basi sulle fonti fossili, ma piuttosto su rinnovabili, efficienza e una moderna economia circolare. Sono più di 600 milioni gli africani che non hanno accesso a servizi di energia elettrica degni di tal nome. La sfida è quella di farli uscire da questa povertà energetica (che si accompagna a fame, vita media ridotta, gravi problemi sanitari) puntando su rinnovabili ed efficienza. E la risposta (dei governi – dei paesi ricchi e di quelli poveri – e delle imprese) oltre alle richieste della società civile, a Marrakech è stata unanime: si può fare.

Il secondo motivo per cui la Conferenza non è stata affatto inutile è nella conferma – era già stato evidente a Parigi – che la business community (almeno la sua parte più avanzata) è decisamente schierata. Così si spiega ad esempio l’appello di 360 tra manager e imprenditori (alcuni anche tra i Top500 di Fortune) rivolto ai politici americani (in realtà per premere su Trump) per il rispetto degli Accordi di Parigi. Si rinforza la convinzione che si sia messo in moto un meccanismo per cui dav-vero i fossili sono rimasti dalla parte sbagliata della storia. E che l’innovazione tecnologica ha porta-to con sé la convenienza economica per cui nonostante tentativi (disperati) delle lobby di conserva-re il potere di Big Oil, il futuro è del sole, del vento e delle altre fonti rinnovabili, pulite e diffuse.

E qui incrociamo il terzo tema di Marrakech: la lotta ai cambiamenti climatici è il vero nuovo driver anche della geopolitica, così come eravamo abituati lo fosse il petrolio in passato. E infatti i cinesi lo hanno detto chiaro e tondo: “Trump ritira gli USA dagli accordi? Non può farlo, e se non volesse più dare le risorse concordate, lo faremo noi”.

È sulla seconda parte della affermazione dei rappresentanti del governo cinese che converrebbe soffermarsi. Trasparente il tentativo di accreditarsi (ancora di più) presso quei Paesi e quei Governi che hanno fame di energia (e la vogliono moderna e sostenibile) come l’unico partner affidabile e di conseguenza attraverso questa azione allargare la propria zona di influenza.

Ma se questo è vero, bisogna osservare con ancor più amarezza che l’Europa ha perso la sua lea-dership e che ormai si muove in ordine sparso. Uno smarrimento di cui – come sempre – soffrono meno i più potenti: non è un caso che la Merkel sia venuta a inaugurare impianti tedeschi in giro per il Marocco. Rischia di essere invece gravemente spiazzato e di perdere (o almeno non cogliere ap-pieno) grandi opportunità chi, come il nostro Paese, pensasse di affidarsi per la politica estera solo ai suoi “campioni” (ENI, ENEL, adesso anche Terna) senza fare scelte conseguenti in tema di rin-novabili, efficienza, mobilità nelle sue politiche industriali. È questa la sfida del nostro tempo, conti-nuare a eluderla sarebbe folle.