Italicum: il Porcellum era Disneyland (in confronto)

Articolo di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffington Post –

Corriamo il rischio. Corriamo il rischio di passare per conservatori, per quelli che difendono il potere di ricatto dei partitini, che temono la “morte in culla” del loro – del nostro – tentativo di ridare rappresentanza autonoma con Green Italia all’ecologia nella politica italiana. Corriamo il rischio e lo diciamo lo stesso: l’Italicum fa più schifo del Porcellum. È peggio per come ci si è arrivati. Quello almeno era frutto di un atto chiaramente unilaterale, di una prepotenza di Berlusconi che nel 2005, sapendosi minoranza nel Paese ma essendo ancora maggioranza in Parlamento, impose la legge elettorale per lui meno dannosa.

Questo emana invece un sapore sgradevole e indigesto di pensiero unico. Malgrado nessuno provi a negarne i limiti, gli aspetti deteriori, però quasi tutti alla fine lo difendono: Pd e Forza Italia, alfaniani e centristi, grandi giornali e grandi osservatori.

Il Porcellum bocciato dalla Consulta era una legge pessima, che negava ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti e assegnava alla coalizione vincente il 55% dei seggi (su base nazionale alla Camera, su base regionale al Senato) qualunque fosse la sua percentuale di voti. Questo Italicum, già nella versione arrivata in aula alla Camera, non elimina quei vizi: se in una coalizione che ottiene almeno il 37% dei voti e dunque si vede attribuita la maggioranza assoluta dei seggi, un solo partito supera la soglia di sbarramento del 4,5%, a lui e soltanto a lui va tutto il “malloppo” degli eletti anche se – è un’ipotesi, ma non così irrealistica – ha ottenuto il 20% dei voti o persino meno. Quanto poi alla libertà per gli elettori di scegliere gli eletti, come si sa non cambia nulla: le liste sono più corte ma restano bloccate e a nominare i deputati continuano a essere i segretari di partito.

Infine, Porcellum e Italicum condividono un’altra sublime schifezza: una diversa soglia di sbarramento per le liste in coalizione – 4,5% – e per quelle che corrono da sole – 8%. Una distinzione così non ha eguali nel mondo e risponde ad un criterio che sul piano della democrazia non è proprio lodevole: penalizzare a parità di voti le minoranze autonome rispetto a quelle che si alleano con i partiti maggiori.

Nelle ultime ore, poi, il già pessimo Italicum ha preso le sembianze di un definitivo mostro giuridico, democratico, istituzionale. Benedetti, così pare, dal presidente Napolitano, Renzi, Alfano e Berlusconi – con un accordo che come ha scritto Lucia Annunziata ignora persino le buone maniere di un coinvolgimento “pro-forma” dei parlamentari – hanno tirato fuori dai loro magici cappelli una fantastica trovata da prestigiatori: l’Italicum vale solo per la Camera, mentre il Senato si fa finta che non ci sia più. Così, l’anomalia italiana di un sistema parlamentare retto da un bicameralismo perfetto si colorerebbe di effetti speciali: non solo due Camere che fanno esattamente le stesse cose, ma due Camere elette una con un maggioritario spinto e l’altra con un proporzionale puro. Detto questo, tutti vedono che “il Re è nudo”: questa legge elettorale farsesca serve a garantire ad alcune centinaia di parlamentari, soprattutto a quelli più a rischio di rielezione, che almeno per un paio d’anni la loro poltrona è al sicuro.

Ora, è ovvio che la legge elettorale perfetta non esiste, che cambiare i sistemi elettivi richiede necessariamente vaste maggioranze e quindi adeguati compromessi. Ma in nessun Paese democratico la prima regola che governa la rappresentanza risente così smisuratamente delle contingenze politiche nelle quali nasce nonché, bisogna aggiungere, delle contorsioni tattiche di questo o quel leader. Accade solo da noi, e il risultato – per citare la satira di Gino e Michele – è una legge elettorale veramente “da paura”, che il Porcellum era Disneyland in confronto.