Infrastrutture di trasporto: regole e progetti per risparmiare traffico, consumo di suolo e migliorare l’accessibilità urbana.
1. La politica dei trasporti separata dalla politica delle infrastrutture.
La politica dei trasporti e delle infrastrutture in Italia si è caratterizzata per essere slegata e dissociata da ogni politica di programmazione dell’uso del territorio e di espansione delle città ed aree metropolitane. Cosi è stato nel dopoguerra con l’avvio dei Programmi per la realizzazione della rete autostradale, con il Piano Decennale per la Viabilità di Grande Comunicazione del 1992, con l’avvio del Piano di Alta Velocità Ferroviaria del 1990, con la lista di infrastrutture “strategiche di interesse nazionale” indotta dalla Legge Obiettivo per le grandi opere approvata nel 2001. Certo non sono mancati i tentativi di riavvicinare le scelte in modo coerente sia nella programmazione locale che in quella nazionale, ma la logica delle “grandi opere”, dei lavori pubblici, della lista di interventi ha trovato sempre il modo per restare separata, senza integrazione e coordinamento con il resto degli strumenti di pianificazione. C’è stata la stagione innovativa dei Piani Urbani del Traffico, che a meta degli anni ’90, ispirò tutte le principali città nell’adottare provvedimenti di regolazione del traffico privato, di rilancio del trasporto collettivo, di innovazione tecnologica e di servizio. Con il limite che si trattava di interventi comunali (e non di area vasta) e che non interveniva sugli investimenti: avrebbero dovuto essere i Piani Urbani della Mobilità (i P.U.M. sono stati indicati dalla legge 340/2000) a fare questo passo in avanti. Ma ad oggi manca il regolamento di attuazione e non si integra la pianificazione e spesa per gli investimenti nei trasporti né urbana né extraurbana. Diversi comuni hanno adottato comunque i PUM, alcuni anche molto innovativi ma l’impossibilità di coordinare la spesa per gli investimenti e la difficoltà di” rincorrere” i PGR ed i Piani Territoriali vigenti, o le opere della legge Obiettivo ed i Piani di settore, lo rendono ad oggi purtroppo uno strumento poco incisivo. Mentre dovrebbe diventarlo, ancora di più oggi che sono state costituite le Città Metropolitane, che devono adottare piani strategici, riorganizzare i servizi di trasporto collettivo su scala vasta, definire la pianificazione territoriale, e quindi integrare le diverse politiche di investimenti, servizi e pianificazione territoriale in modo integrato. Nel 2001 venne approvato dal Governo di centrosinistra, elaborato dal Ministero dei Trasporti, dei Lavori Pubblici e dal Ministero per l’Ambiente il “Piano Generale dei Trasporti e della Logistica” che faceva uno sforzo reale di integrare le politiche degli investimenti con le politiche dell’offerta di servizi di trasporti, che coniugava le diverse politiche nazionali, regionali con le politiche di mobilità urbana. E che conteneva obiettivi di sostenibilità ambientale, e nuove idee per la liberalizzazione dei servizi, l’intermodalità per le merci ed i sistemi di trasporto intelligenti. Un piano certamente innovativo, che aveva certo le sue contraddizioni, ma che non è stato attuato anche a causa dell’adozione della Legge Obiettivo che ha sottratto nuovamente gli investimenti dalla politica dei trasporti. Anche dall’Unione Europea sono venute idee innovative come disaccoppiare crescita e mobilità, la proposta di direttiva eurovignette sulla tassazione del traffico pesante su strada, la valutazione delle esternalità negative nei trasporti, il libro bianco sui trasporti e quello sulla mobilità urbana. Strategie avanzate ma che spesso non sono diventate normative stringenti, in diversi casi sono ancora in corso di elaborazione, o che nel corso dell’approvazione sono diventati strumenti di indirizzo non vincolante e/o con scarse risorse disponibili. Allo stesso tempo non è mancata anche in Europa la centralità per le reti infrastrutturali con il grande ed esteso Piano di reti trans-europee TEN-T (Trans-European Networks – Trasport), avviato nel 1997, anch’esso separato dagli altri interventi, proprio come accade in Italia. Infatti il Piano delle reti TEN-T presentato dalla Commissione Europea per il periodo 2014-2020 prevede investimenti per 50 miliardi di 1 euro, punta in particolare sulle infrastrutture ferroviarie ed ha definito la lista prioritaria di ogni paese. Per l’Italia il Governo ha ottenuto e proposto all’interno delle reti TEN-T cinque grandi opere infrastrutturali. Ma resta l’incognita delle risorse effettivamente disponibili a livello europeo per realizzare le opere, quale sia la quota reale di cofinanziamento sui singoli progetti, ed a causa delle difficoltà economiche si è ipotizzato anche una riduzione a 31 miliardi circa di risorse per la realizzazione dei progetti nei prossimi anni. Anche il recente Piano Juncker della Commissione Europea del 2014 per investimenti complessivi nei diversi settori da 300 miliardi ( di cui in realtà disponibili solo 21) prosegue su questa impostazione ed è simile alla legge Obiettivo italiana: si punta sulle grandi opere per far ripartire l’economia. E non a caso il governo italiano ha presentato in sede UE, per avere finanziamenti europei, una lista di grandi opere nei trasporti pari a 12 miliardi di euro, tra cui l’Autostrada Orte-Mestre.
2. I dati del consumo di suolo per le infrastrutture di trasporto
In concreto la separazione tra la politica dei trasporti dalle scelte sugli investimenti, la mancata integrazione tra politiche territoriali ed urbane dalla strategia per le infrastrutture, hanno favorito la programmazione di investimenti “indifferenti” al territorio ed impermeabili verso politiche con obiettivi di sostenibilità. Questa distorsione ha prodotto anche altri effetti negativi, come il mancato rispetto degli obiettivi per la riduzione dei gas serra fissati dal protocollo di Kyoto e recepiti nella normativa italiana, e l’incapacità di assumere obiettivi di contenimento del consumo di suolo e di rigenerazione urbana, oramai diventati entrambi obiettivi essenziali di tutela. Secondo lo studio di ISPRA sul consumo di suolo in Italia1 già oggi – secondo le prime stime sulla base dei dati disponibili – il peso complessivo delle infrastrutture di trasporto sul consumo di suolo è notevole, pari al 47% del totale, di cui il 28% dovuto a strade asfaltate e ferrovie ed il 19% è dovuto a strade sterrate ed infrastrutture di trasporto secondarie. Ed anche un altro 14% di suolo consumato è destinato a piazzali, parcheggi, aree di cantiere, aree estrattive e quindi una quota è certamente riferibile al sistema di trasporti italiano. Possiamo quindi dedurre che oltre il 50% del consumo di suolo in Italia è legato alle infrastrutture di trasporto e del resto questo è il risultato di decenni di strategia sulle infrastrutture che ha messo in secondo piano le città con le reti urbane ed ha puntato alla lista di opere pubbliche di “collegamento” da realizzare. Va inoltre sottolineato come le infrastrutture siano il “segno” sul territorio non solo per connettere luoghi e spazi già edificati ma molto spesso le nuove reti rendono accessibile spazi agricoli e rurali, quindi consentendo l’edificazione di nuovi spazi sia a scopi residenziali, industriali, commerciali, poli ospedalieri, centri servizi, interporti, spazi sportivi. Quindi non vi è solo il consumo di suolo connesso alla realizzazione diretta di infrastrutture ma devono essere anche valutati gli effetti indotti a scopi insediativi delle nuove reti, a ridosso di svincoli, tangenziali, bretelle, stazioni, che rendono accessibili spazi che precedentemente non lo erano. Attualmente si è riavviata alla Camera dei Deputati, la discussione sui Disegni di Legge per la limitazione del consumo di suolo, e questo è un primo passo verso una regolamentazione ed obiettivi di controllo condivisi per frenare l’espansione urbana. Il 20 gennaio 2015 è stato assunto dalle Commissioni riunite e Ambiente ed Agricoltura un testo base, sui cui si concentrerà il confronto e l’iter successivo2 . Da una analisi del testo base emerge che gli obiettivi graduali di controllo del consumo di suolo si applicano “tranne che per i lavori e per le opere inseriti negli strumenti di programmazione delle amministrazioni aggiudicatrici di cui all’art.128 del Decreto legislativo n.163/2006, e nel programma di cui all’articolo 1 della legge 21 dicembre 2001 n. 443”. In pratica si prevede che le opere previste nei Piani Triennali dei lavori pubblici e le opere inserite nella Legge Obiettivo non debbano rispettare le regole in materia di contenimento del consumo di suolo. Se il testo non verrà modificato renderà estremamente debole la norma, a conferma che le lista delle grandi opere riesce sempre a restare separata, in deroga dalle regole comuni. 1 ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. Il consumo di suolo in Italia.
3. Le Grandi Opere strategiche “indifferenti” al territorio
Il Piano Generale dei Trasporti e della Logistica del 2001 venne rapidamente messo in un cassetto dal nuovo Governo di centrodestra che nel 2001 puntò sulla Legge Obiettivo e la lunga lista di grandi opere infrastrutturali da realizzare. La Legge Obiettivo3 ha indotto anche un salto di “qualità” nel programmare infrastrutture “indifferenti” al territorio perché ha invertito ogni logica decisionale: non più integrazione, non più infrastrutture che connettono, ma è la decisione sulla localizzazione della grande opera decisa in sede CIPE che costituisce “variante” al Piano Regolatore vigente. Come dire che è il territorio che si deve adattare all’infrastruttura. La conferenza dei servizi diventa istruttoria e quindi gli enti locali non decidono, solo la Regione interessata dal progetto deve assicurare una intesa sulla localizzazione dell’opera. La lista delle opere è proposta dal Governo ed inserita nell’Allegato Infrastrutture e presentato al parere del Parlamento usitatamente al Documento Economica e Finanziario che definisce le politiche del Governo del triennio. Un metodo di lavoro che non funzionato perché quando si scende ai progetti reali i conti non tornano: il territorio è cambiato, è molto più denso, pieno di esigenze e problemi, le città escluse da ogni decisione vogliono comunque e giustamente dire la loro, ed anche i conti economici non tornano più. La legge Obiettivo – invocata nel 2001 come regime derogatorio per poche opere strategiche – ha visto invece una enorme lista di opere e poi nel corso del tempo sono stati inseriti nuovi progetti nella lista delle infrastrutture, o sono stati allungati ed ampliati quelli già presenti tra le opere strategiche. Il risultato, secondo lo Studio del Centro Studi della Camera dei Deputati, Cresme ed Autorità Vigilanza lavori Pubblici4 , è una lunga lista di 403 grandi opere da 375 miliardi, di cui ben 178 miliardi/euro sono strade ed autostrade, 146 miliardi sono ferrovie e circa 24 miliardi sono metropolitane. Risorse pubbliche e private che non ci sono. Di questa lista, una parte di opere sta proseguendo la sua corsa con l’iter procedurale ed autorizzativo: si tratta di 199 opere per un valore di 140 miliardi approvati dal Cipe. Le opere ultimate al 31 dicembre 2013 risultano essere 43 ed il loro costo è pari a 9,4 miliardi. I lavori in corso delle 65 opere approvate è di circa 68 miliardi5 mentre la restante parte è ancora alle prese con aspetti procedurali e ricerca di finanziamenti. Analizzando i diversi progetti, sono circa 2200 km di nuova rete autostradale che si vorrebbe costruire ed ampliare con la Legge Obiettivo, insieme a circa 1000 km di nuove tratte ferroviarie, comprendendo sia le tratte ad Alta velocità e sia il potenziamento e rettifiche delle reti esistenti. Autostrada Orte-Mestre, Pedemontana Lombarda, Pedemontana Veneta, Autostrada della Maremma, Alta Velocità Torino Lione e Terzo Valico AV Milano-Genova, Gronda di Genova e Passante Autostradale di Bologna, Tibre e Mantova Cremona, sono solo alcune delle infrastrutture strategiche previste dalla legge Obiettivo assai note e discusse, e la maggior parte già proposte ben prima ancora del 2001. Per le nuove autostrade stiamo parlando degli stessi progetti di oltre 30 anni fa, che non tengono conto dei cambiamenti avvenuti negli insediamenti territoriali e nei comportamenti, non contengono innovazioni di progetto e di servizio all’utenza, a partire dai sistemi di trasporto Intelligenti. Neanche le procedure semplificate di Valutazione di Impatto Ambientale hanno potuto migliorare più di tanto progetti obsoleti, mentre la Valutazione Ambientale Strategica su Piani e Programmi è divenuta obbligatoria con il recepimento italiano della Direttiva Europea 2001/42/CE avvenuta solo nel 2006 ed entrata in funzione nel luglio 2007. Ma il Ministero delle Infrastrutture e ed il Governo hanno spiegato e continuano a ripetere che essendo la lista delle opere già consolidata anteriormente al recepimento della Direttiva VAS non deve essere applicata alla Legge Obiettivo. Risulta evidente secondo questa impostazione, se si tiene conto che dentro la lista vi sono 403 opere, che in Italia non applicheremo mai la Valutazione Ambientale Strategica sui Piani di sviluppo delle infrastrutture di trasporto, l’unico strumento che potrebbe consentire una verifica pubblica sugli obiettivi di riduzione dei gas serra, sugli obiettivi di contenimento del consumo di suolo, con una adeguata analisi costi-benefici, come ha ben documento Maria Rosa Vittadini6 . Un altro passo in avanti nel predominio dell’infrastruttura sul territorio è costituita dalla Legge n. 15 del 2008 della regione Lombardia7 , per le infrastrutture. All’articolo 10 si prevede che al concessionario di infrastrutture possano essere affidati anche interventi insediativi e territoriali nella fascia connessa con il tracciato dell’opera, al solo scopo di consentire al concessionario di ripagarsi l’opera che non regge con i soli ricavi da pedaggio8 . Quindi avremo insediamenti mai pianificati con il solo scopo di fare “cassa” magari per realizzare infrastrutture sbagliate ed obsolete. Una politica per le grandi opere che persiste, anche con il recente Decreto9 “Sblocca Italia” del Governo Renzi, dove ci sono molte autostrade, qualche ferrovia, poche reti tramviarie e metropolitane. La solita lunga lista di grandi opere che vengono direttamente dal passato a base di asfalto, cemento, petrolio e consumo di suolo. La norma prevede la possibilità di prorogare la scadenza delle concessioni autostradali per realizzare gli investimenti: anche in questo caso sono le concessionarie a decidere anche le scelte infrastrutturali e territoriali del nostro Paese10, con la loro capacità di incassare risorse e condizionare le scelte politiche.
4. Crescono le percorrenze e cambia la domanda di trasporto
La definizione di progetti infrastrutturali vecchi ed obsoleti deriva anche dal confronto con i cambiamenti intervenuti nella domanda di mobilità negli ultimi 30 anni. Domanda che è cresciuta costantemente con il cambiare dei comportamenti e del lavoro, determinata dall’espansione urbana fuori dalle grandi città, alimentata dalla rigidità della casa in proprietà e dall’assenza di un mercato accessibile dell’affitto. Lo stesso uso delle autostrade esistenti nate per la grande distanza si è modificato, servendo un traffico sempre più locale e breve di pendolarismo quotidiano. Un analogo ragionamento è possibile fare per il trasporto delle merci, con l’espansione della fabbrica diffusa e decentrata, con la chiusura o trasformazione dei grandi poli industriali, con la realizzazione di centri commerciali e di sistemi di distribuzione sempre più intensi e basati sul “just in time”, dove ormai le nostre strade ed autostrade sono il vero magazzino delle imprese di produzione, distribuzione e commercializzazione. Sono gli stessi numeri che lo dimostrano, come fa lo studio curato dall’ing. Andrea De Bernardi per il WWF “Metropoli tranquille”11 che analizza le modifiche strutturali della domanda di trasporto nel Nord Italia e fornisce risposte innovative ai problemi che vengono posti. Lo studio documenta l’incremento delle percorrenze nell’Italia settentrionale passate dai circa 8.500 km del 1980 agli oltre 16.000 km del 2000. Di questi km che ogni anno in media ogni cittadino percorre ben 14.000 sono in automobile e sono cresciuti non tanto il numero degli spostamenti quanto piuttosto la percorrenza media di ogni percorso. Analogo ragionamento vale per il trasporto delle merci. Negli ultimi vent’anni l’aumento delle percorrenze espressa come tkm trasportate ogni anno per ciascun residente dell’Italia settentrionali, è costantemente cresciuta, passando dalle circa 4.500 tkm/ab/anno del 1980, alle quasi 8.000 tkm/ab/anno del 2000. Da sottolineare che nello stesso periodo la quantità di merce trasportata è cresciuta del 20%, mentre l’incremento delle percorrenze è cresciuto più del triplo. Quindi l’incremento delle percorrenze passeggeri in vent’anni è stato praticamente del 100% mentre quello delle merci di oltre il 70% in più mentre il valore aggiunto determinato dal Pil è stato nello stesso periodo del 40% nel Nord Italia 6 Maria Rosa Vittadini. Decisioni senza Piano: male oscuro dei trasporti Italiani. Intervento pubblicato sul sito www.eddyburg.it 7 Regione Lombardia. Legge n.15 del 26 maggio 2008. Infrastrutture di interesse concorrente statale e regionale. Pubblicata sul BURL del 30 maggio 2008 n. 22. 8 Roberto Cuda. Strade senza Uscita. Banche, costruttori e politici. Le nuove autostrade al centro di un colossale spreco di denaro pubblico. Edizioni Castelvecchi. 2013 9 Legge 11 novembre 2014 n.164. Conversione con modificazioni, del decreto legge 11/9/2014 n. 133. Pubblicato sulla G.U. n.262 dell’11/11/2014. 10 Giorgio Ragazzi. I Signori delle autostrade. Edizioni Il Mulino, 2008 11 WWF Italia. Metropoli tranquille, una politica dei trasporti ragionevole per il Nord Italia. A cura dell’ing. Andrea Debernardi. Edizione febbraio 2006. 4 Se ne conclude che c’è un incremento costante dell’intensità di trasporto che supera largamente quello del valore aggiunto, che richiede sempre più chilometri, sempre più energia, sempre più costi ambientali e territoriali, per produrre, lavorare e vivere. Inoltre l’aumento delle percorrenze cresce (in genere tre-quattro volte) di più del numero degli spostamenti sia per la domanda di mobilità dei passeggeri che delle merci. Questo è sicuramente il risultato delle trasformazioni urbane e produttive, dell’espansione urbana e dell’edilizia a bassa densità, delle innovazioni logistiche ed il frazionamento delle fasi di fabbricazione dei beni di consumo, è l’effetto dello “sprawl” urbano e della città dispersa, dello “stravaccamento” di edilizia e capannoni, che oltre ad aumentare a dismisura il consumo di suolo, aumenta e fa crescere la domanda di mobilità. Certo, negli ultimi anni a causa della crisi, anche il traffico ne ha risentito, con una riduzione degli spostamenti: secondo i dati di Isfort12 un cittadino su quattro (25%) non si è spostato ( nel 2001 era il 18%), calano il numero di viaggi ma la tendenza all’incremento delle percorrenze prosegue e viene sempre messo in relazione alle dinamiche territoriali ed insediative. Questa tendenza ad una frenata nella crescita del traffico è emersa con chiarezza dopo l’inaugurazione nel 2014 dell’Autostrada BreBeMi, che ha livelli di traffico assai bassi e decisamente inferiori rispetto alle previsioni del Piano Economico e Finanziario. Anche queste tendenze in atto dovrebbero indurre una riflessione adeguata sul futuro per queste infrastrutture.
4.1. Il pendolarismo è cresciuto sulle autostrade, anche per la scarsità di servizi ferroviari. Questa domanda di mobilità crescente e locale ha modificato anche l’uso delle autostrade, come dimostrano gli stessi dati della società Autostrade per l’Italia13 . Lo studio riferito all’anno 2007 documenta che sulla rete autostradale il percorso medio è stato di 75 km per i veicoli leggeri (le automobili) e di 99,7 km per quello pesante (le merci). Ma queste sono le medie ed andando ad analizzare in profondità le percorrenze emerge che il 60,3 degli spostamenti leggeri ed il 48,1% di quelli pesanti avvengono su tragitti inferiori ai 50 km. Inoltre tra le due componenti, rispettivamente, oltre 1/3 dei veicoli leggeri e circa 1/4 di quelli pesanti non superano i 25 km. Ed a conferma di questo si indicano gli spostamenti oltre i 300 km rappresentano meno del 4% dei transiti leggeri e poco più del 6% di quelli pesanti. Nello studio inoltre si afferma che le brevi distanze dei veicoli leggeri avvengono soprattutto intorno alle aree urbane, che insieme alla costanza del fenomeno, confermano il carattere di pendolarità nell’uso delle autostrade. Una indagine mirata sui Pendolari d’Italia14 elaborata dal Censis, documenta l’esplosione del fenomeno pendolarismo negli ultimi anni, legata sopratutto ai “processi di diffusione abitativa che hanno cambiato profondamente le concentrazioni in molte aree del Paese”. Sono circa 13 milioni i pendolari in Italia e nel periodo dal 2001 al 2007 sono cresciuti del 35,8% ( si tratta di quasi 3,5 milioni di persone in più in soli sette anni. I pendolari sono soprattutto impiegati ed insegnanti (43%), studenti (23%) ed operai (17,5%). Nel commuting quotidiano predomina l’auto privata, usata dal 72,2% dei pendolari, autobus e corriere si attestano al 13,4% mentre il treno assorbe appena il 7,6%. Complessivamente dal 1991 al 2001 emerge un calo della quota di mercato assorbita dai mezzi pubblici (-2,3% del treno e -3,2% dell’autobus) mentre aumenta la quota che utilizza l’automobile ( +8,6%). Altro dato significativo che emerge dallo studio sui pendolari è la risposta relativa all’offerta di trasporti ferroviari: ben il 46% degli intervistati non usa il treno perché “ non ci sono treni per gli spostamenti che devo effettuare”. Se ne deduce che è l’offerta di trasporto ferroviario e collettivo che è carente ed inadeguata ad una domanda di tipo metropolitano e diffusa sul territorio15, nonostante che sia un segmento di trasporto in crescita. Lo stesso studio Censis sottolinea la distanza tra la dotazione di linee ferroviarie suburbane delle principali conurbazioni europee rispetto all’Italia: oltre 3000 km di rete a Berlino, 1.500 km a Francoforte, 1.400 km a Parigi, a fronte dei 188 km di Roma, dei 180 km di Milano, i 117 di Torino, i 67 km di Napoli. In Italia c’è molto da fare, per usare meglio le reti che abbiamo, per aprire la rete con nuove stazioni e fermate, per integrare le diverse modalità di trasporto (orari, tariffe, parcheggi), per realizzare nuove reti verso poli da servire (purtroppo in genere a bassa densità), comprando 1000 treni per i pendolari da usare anche sulle linee storiche liberate dalla nuova rete ad Alta Velocità. Invece come ha documentato Legambiente nel suo rapporto “Pendolaria 2014” si sono tagliate le risorse per i servizi dai 6 miliardi del 2010 ai 4.9 miliardi del 201416
5. Il caso Lombardia: nuove autostrade e consumo di suolo
Un caso emblematico è la regione Lombardia, dove sono previsti tra progetti nazionali e concessioni regionali ben 8 interventi per nuove infrastrutture autostradali per un totale di 635,8 km. (solo in un caso si tratta di una superstrada) Stiamo parlando della Brebemi (62 km), della TEM con raccordo connesso e nuove varianti (74,8 km), dell’Autostrada della Valtrompia (35 km), della Mantova- Cremona ( km 70), del Tibre Parma-Verona ( 85 km), del potenziamento della SS.38 e collegamenti ( 85 km), della Pedemontana Lombarda (157 km), della Broni-Mortara (67 km). A fronte di questo potenziamento autostradale è in campo il progetto di Alta Velocità Treviglio-BresciaVerona, la risistemazione della gronda ferroviaria nord Novara-Brescia, il sistema di raccordo ed accesso con il sistema del Gottardo e del Loetschberg. Merita attenzione critica anche il progetto Alta velocità che se verrà confermato un tracciato esterno alle città con nuove stazioni posizionate a sud, come nel caso di Brescia nella zona di Montichiari, indurrà un elevato consumo di suolo e non costituirà una soluzione per il trasporto ferroviario, che serve prevalentemente il trasporto pendolare locale. Anche in questo caso con la TAV Milano-Verona si replica la struttura autostradale nei progetti ferroviari. Non si sceglie il riequilibrio modale e si punta a realizzare maggiori e nuove infrastrutture a sostegno del traffico motorizzato. Facciamo qualche rapido calcolo di quanto consumo di suolo questo determini. Calcolando un fascio infrastrutturale di 30 metri (prudente) moltiplicato per 635,8 km di nuova rete, si ottengono 19.074.000 mq di costruito. Se aggiungiamo che per ogni km di nuova rete si debbono ristrutturare 400 mt di viabilità locale, ci sono caselli e raccordi da costruire, si può prudentemente stimare un incremento del 40% di suolo da utilizzare. Il totale diventa dunque di 26.703.600 mq di territorio da consumare, pari quindi a 2.670,3 ettari di suolo agricolo da occupare solo per le nuove autostrade che si vogliono costruire in Lombardia. Ma a questi dati vanno aggiunti gli spazi interclusi, il degrado al contorno del territorio agricolo, l’induzione di nuove aree insediative, commerciali, industriali, logistiche, a ridosso dei caselli e lungo le autostrade ( anche come prevede la nuova Legge 15 della regione Lombardia) che diventano rapidamente accessibili e cementificabili. Questo è dunque il modello che attende la regione Lombardia ed in genere l’Italia: non solo dobbiamo quindi censurare l’esasperato consumo di suolo già avvenuto in questo ultimo decennio ma intervenire per evitare l’aggravarsi della cementificazione. Peraltro considerando anche il parametro emissioni di CO2, che vede in Italia ben il 26% delle emissioni derivare dai trasporti (nel 1990 erano il 21%), realizzare oltre 600 km di nuove autostrade solo in Lombardia ( e tante altre sono previste nel resto d’Italia) aiuterà la crescita delle emissioni e non la sua riduzione come ci siamo impegnati a fare con il protocollo di Kyoto. Partendo da queste valutazioni sulla Regione Lombardia ed estendole a tutto il territorio italiano, è semplice dedurre come l’attuale programmazione delle infrastrutture indurrà l’incremento del consumo di suolo e delle emissioni di gas serra, che sarebbe utile al fine di assumere decisioni pesare sul piano quantitativo con una ricerca specifica ed accurata.
6. Regole e progetti per risparmiare consumo di suolo e traffico motorizzato
La situazione e gli scenari del trasporto ferroviario pendolare in Italia. Dicembre 2014 6 Dalle analisi e dalle considerazioni che sono state svolte è possibile avanzare qualche soluzione per nuove regole e progetti innovativi da adottare per risparmiare suolo e traffico motorizzato.
a) Applicare la Valutazione Ambientale Strategica ai piani esistenti, inclusa la lista delle opere in attuazione della legge obiettivo, ed a scala adeguata, per verificare la coerenza e la sostenibilità dei diversi piani infrastrutturali stradali, autostradali e ferroviari, aeroportuali, logistici elaborati, con l’obiettivo di verificare il rispetto degli obiettivi di riduzione dei gas serra, di contenimento del consumo di suolo, il riequilibrio modale e l’accessibilità delle aree urbane.
b) Approvare un provvedimento normativo per contenere il consumo di suolo e per il riuso del suolo edificato, capace di intervenire senza esclusione o deroghe, sulla pianificazione, piani e progetti, con una verifica complessiva degli investimenti infrastrutturali previsti.
c) Regolamentare i Piani Urbani della Mobilità, integrandoli in modo coerente con la pianificazioni urbanistica e territoriale, capaci di diventare strumenti stringenti per decidere la spesa per investimenti nelle reti e nei servizi di trasporto di area vasta e delle nuove Città Metropolitane.
d) Adeguare gli strumenti di pianificazione con una riforma della Legge Urbanistica che integri l’uso sostenibile del territorio con le reti infrastrutturali , di connessione con l’area vasta e le città metropolitane, di collegamento con le altre città e capoluoghi.
e) Sostenere gli investimenti per le reti tranviarie, metropolitane e l’uso metropolitano delle ferrovie nelle città; incrementare le risorse per gli investimenti ferroviari puntando ad un maggiore uso metropolitano e regionale, adeguando la rete alle trasformazioni territoriali, con l’apertura di nuove fermate e stazioni, con servizi cadenzati. Fondamentale per aumentare l’offerta di servizi è l’acquisto dei treni per i pendolari.
f) Migliorare la rete stradale con l’adeguamento ed il potenziamento delle infrastrutture e quindi rinunciare o riconvertire gli obsoleti progetti autostradali. Nuove reti intelligenti da progettare con criteri innovativi, utilizzando sedimi esistenti, segni persistenti e puntando al risparmio di suolo, con sistemi di esazioni aperti (niente caselli e complanari), capaci di integrazione (e non concorrenza) con le reti ferroviarie e con i nodi di scambio ed accesso di area metropolitana.
g) Innovazione di servizio nell’offerta di mobilità ai cittadini. Tra l’auto privata e le reti di trasporto collettivo, c’è uno spazio intermedio di offerta di servizi di mobilità da pensare ed attuare. Mobility manager, bike sharing, il carsharing (che di recente ha avuto uno sviluppo notevole a Milano e Roma). Bisogna studiare un’offerta mirata per la mobilità nel tempo libero, gli spostamenti degli scolari, servizi integrati con il treno, si pongono nuove richieste per la mobilità degli anziani da soddisfare.
h) Finanziare ed incentivare la ricerca nel campo dei trasporti. Logistica, intermodalità, innovazione tecnologica, telematica applicata al traffico, riorganizzazione dei sistemi di produzione e distribuzione delle merci per risparmiare traffico, carburanti, veicoli puliti, innovazione di servizio, veicoli innovativi nel campo dei trasporti collettivi, sono soltanto alcuni dei principali segmenti che hanno bisogno di ricerche e progetti mirati.
i) Risparmiare traffico deve diventare un obiettivo strategico, puntando ad eliminare inutili chilometri percorsi ogni giorno da merci e cittadini. In questo senso per esempio vanno tutte le esperienze in corso nonché le proposte di legge per il “Kilometro zero”, per incentivare la produzione, commercializzazione e consumo di prodotto alimentari locali freschi a livello locale. In questo modo si punta a produzioni di qualità e stagionali, si accorcia la filiera agroalimentare (con benefici anche economici per agricoltori e consumatori), e si risparmia traffico motorizzato. Analoga attenzione deve essere posta sui carichi a vuoto delle merci ed alle potenzialità della “rivoluzione digitale” per risparmiare inutili spostamenti di persone e merci.
Articolo di Anna Donati, pubblicato in occasione del convegno Ispra “Recuperiamo terreno.”