Il successo o fallimento della Presidenza italiana della Ue si misura sulla scelta tra vecchia e nuova energia

Articolo di Monica Frassoni su Huffington Post – 

Nel dibattito italiano intorno al semestre europeo si parla poco o nulla di quella che sarà la decisione più importante che l’Italia dovrà gestire da domani a fine anno. Non solo, ma non è neppure chiara la posizione che il Governo italiano difenderà, e per ora sembra che coltivi solo l’ambizione di portare a casa un risultato, buono o cattivo che sia, per appuntarsi la medaglietta a fine Presidenza. Parliamo delPacchetto Energia e Clima 2030: il successore del famoso pacchetto 20/20/20, che nel 2007 dette l’avvio a una straordinaria crescita di nuovi attori nel campo della produzione energetica e iniziò a dare concretezza al sogno di un mondo senza fossili (oltre a ridurre le emissioni e a produrre centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro e imprese).

Progressivamente, i vecchi settori fossili hanno visto che rinnovabili ed efficienza cominciavano a diventare dei seri concorrenti e non solo dei simpatici giochetti per ricchi “radical-chic”: dopo lo scoppio della crisi, è partita la controffensiva, facilitata dal fatto che la “rivoluzione energetica” non è ancora irreversibile. In un primo tempo, è partita una dura campagna contro gli incentivi alle rinnovabili, approfittando degli eccessi che in alcuni paesi come Francia e Italia si sono verificati; e più recentemente si è cercato di fare passare l’idea che per assicurare un approvvigionamento a buon prezzo contro tutti i Putin di questo mondo, fosse necessario tornare al fossile e lasciare perdere costose utopie fatte di sole e vento: costruire nuovi rigassificatori per importare il gas americano, investire miliardi in tecnologie dubbiose come il fracking (per estrarre gas di scisto), trivellare il Mediterraneo e fare resuscitare il CCS (separazione e confinamento della CO2), altra tecnologia costosissima e non ancora a punto che dovrebbe servire a rendere “pulito” il carbone. È questa la posta in gioco che si nasconde nei numeretti del Pacchetto Clima ed Energia 2030, presentati dalla Commissione nel gennaio scorso , una proposta profondamente emendata dal PE e che attende ora la decisione del Consiglio europeo di ottobre: la lotta per le risorse e gli investimenti pubblici e privati fra rinnovabili ed efficienza da un lato e nucleare, vecchi e nuovi fossili dall’altro.

Sarà piuttosto semplice capire da che parte andrà l’Europa ad ottobre, al momento della decisione sul Pacchetto Clima ed Energia 2030: se ci sarà l’accordo su tre obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni di CO2 (almeno il 40%), di percentuali di consumo da rinnovabili (almeno il 40%) e di efficienza energetica (almeno il 40%), allora sapremo che l’UE è seriamente in pista per guidare da una posizione di avanguardia il negoziato sul Clima previsto alla COP di Parigi nel 2015; e soprattutto sapremo che avrà deciso di rispondere a Putin e al problema dell’alto costo dell’energia in Europa spingendo su una trasformazione energetica basata su rinnovabili ed efficienza, perfettamente possibile tecnologicamente ed economicamente e con un grande potenziale dal punto di vista della competitività e dell’occupazione. Se ad ottobre si punterà, invece, su un mero target di riduzione del 40% delle emissioni e dei numeri assolutamente insufficienti e/o non vincolanti per le rinnovabili e l’efficienza energetica, dovremo riprendere la battaglia per l’energia verde quando si aprirà il processo legislativo che dovrà applicare concretamente il Pacchetto Clima ed Energia 2030 e tornerà in gioco in Parlamento europeo; ma è indubbio che sarà davvero difficile trovare nel 2015 un successore al Protocollo di Kyoto con un Pacchetto Clima ed Energia debole e ambiguo.

Il tempo stringe e il governo Renzi non può rimanere passivo rispetto a questa grande sfida, prima di tutto per la nostra stessa economia; deve “cambiare strada” anche rispetto alle proprie scelte energetiche, che per ora sono in perfetta continuità con tutti i vari governi da Berlusconi in poi (come dimostrano lo spalma o ammazza-incentivi per le rinnovabili o il 1,2 miliardi per il carbone del Sulcis). Per l’economia italiana uscire dai fossili rappresenta una scelta strategica vincente; già oggi, in una situazione di sostanziale indifferenza, quando non ostilità rispetto ai settori interessati, si devono alla green economy italiana 100,7 miliardi di euro di valore aggiunto, pari al 10,6% del totale dell’economia nazionale, esclusa la componente imputabile al sommerso.

La Presidenza italiana deve perciò scommettere non su un accordo qualsiasi ma, come fece la Merkel nel 2007, su un accordo di alto livello e davvero in grado di farci rimanere coerenti con la scelta di “de-carbonizzare” l’economia europea e rilanciarla verso nuove attività economiche sostenibili. L’Italia deve mettersi dalla parte di paesi come Germania, Belgio, Danimarca, Grecia, Irlanda, Lussemburgo e Portogallo che hanno scritto il 17 giugno una lettera indirizzata al presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso e ai Commissari per il Clima e l’Energia Connie Hedegaard e Günther Oettinger. Nella lettera, che l’Italia non ha voluto sottoscrivere, si chiede di affiancare all’obiettivo del taglio di “almeno” il 40% delle emissioni inquinanti entro il 2030 un target vincolante anche per l’efficienza energetica. Purtroppo, la Commissione Barroso non è un’alleata in questa partita e, come al solito, il Presidente uscente fa solo il minimo indispensabile per arrivare a un compromesso molliccio che non scontenti nessuno.

Paradossalmente, in questa fase è il Presidente del Consiglio Van Rompuy che pare più ambizioso e con lui alcuni Stati membri, come dimostra la lettera dei 7 e come indicano perfino alcuni recenti positivi segnali del Regno Unito – finora fieramente opposto a qualsiasi “complicazione” rispetto all’obiettivo unico di riduzione delle emissioni – mentre la Francia rimane ambigua su questo punto. In questa situazione, il ruolo della Presidenza sarà fondamentale e, al di là delle chiacchiere su più o meno flessibilità rispetto ai vincoli di bilancio, sarà sul tema concreto della transizione energetica che si misurerà in gran parte il successo o il fallimento del semestre italiano dell’UE.