La vicenda del miraggio del far west e della ricerca di idrocarburi -ancora nel 2106- ne è la dimostrazione plastica.
Gli studi sulle riserve di idrocarburi presenti nei nostri mari dimostrano quanto queste siano scarse, di scarsa qualità, distribuite in “tanti piccoli giacimenti” il cui sfruttamento capillare esporrebbe un’area vastissima sia a un capillare pericolo di incidenti, sia a impatti certi legati a tecniche violente e pericolose di ricerca, come quella ben nota dell’airgun. Il tutto, paradossalmente, a fronte di un contributo energetico risibile (quantità certe di petrolio sufficienti per circa 8 settimane di “autonomia energetica” per l’Italia).
Il prof. Leonardo Maugeri, che non è certo un’ambientalista, ma piuttosto uno dei più autorevoli esperti mondiali proprio di petrolio (per anni responsabile delle strategie di ENI, ora professore di economia ad Harvard e consulente della Casa Bianca), ha definito l’idea di puntare sulle trivellazioni in mare in Italia un “accanimento terapeutico” contro l’ambiente; un’idea foriera di enormi rischi, anche legati alle dimensioni dei giacimenti, che vedrebbero cimentarsi società di piccole dimensioni e del tutto prive sia della necessaria esperienza, sia della solidità economica necessaria per sobbarcarsi i costi legati ad eventuali danni.
Insomma…
Mentre l’IPCC (International Panel on Climate Change, espressione della più autorevole comunità scientifica internazionale in materia di cambiamenti climatici) stabilisce chiaramente che le riserve di idrocarburi non ancora raggiunte devono assolutamente restare nel sottosuolo.
Mentre il mondo intero, con la COP21 di Parigi, mette dalla parte sbagliata della storia il sistema di approvvigionamento energetico tradizionale (trasporti compresi), basato sulle fonti fossili, identificandole una volta per tutte come il principale fattore su cui agire per contrastare i cambiamenti climatici ormai in atto.
Mentre molti tra i più ricchi fondi di investimento mondiali decidono di “disinvestire” dal mondo delle fonti fossili, perché il ritmo forsennato dei cambiamenti climatici potrebbe rendere necessario chiudere in corsa i rubinetti, senza dare il tempo agli introiti di compensare le spese.
Mentre una vera e propria rivoluzione fatta di democrazia energetica, di energie rinnovabili, di riduzione ed efficienza nei consumi, di gestione virtuosa di risorse e rifiuti (la così detta “economia circolare”) e di un diverso modo di concepire la mobilità e il trasporto, si fa strada in molti luoghi del pianeta dimostrando tutta la sua dirompente capacità di disegnare nuovi equilibri e nuove strategie, in grado di riportare la dimensione del “futuro”, senza paura, nelle sedi decisionali del presente.
Mentre persino la Cina, crivellata di morti per inquinamento e condizioni di vita nelle metropoli ormai intollerabili, cambia rotta radicalmente e diventa il primo investitore al mondo in fonti rinnovabili e green economy.
In Italia un manipolo di sedicenti innovatori, apparentemente scongelati dopo un’ibernazione avvenuta negli anni ’50, tenta in tutti i modi di svicolare, sottrarsi e districarsi -proprio come un grigio e pavido azzeccagarbugli- dal confronto con una fortissima volontà popolare e persino istituzionale (vale la pena ricordare che il referendum è stato reso formalmente possibile dall’azione congiunta di ben 10 Regioni, anche a guida politicamente “omogenea” a quella che governa attualmente il Paese), che si oppone con determinazione all’ennesimo tentativo di svendita e saccheggio del nostro territorio, tanto prezioso, quanto martoriato in ogni forma possibile.
Saccheggio, sì.
Perché il petrolio che verrebbe estratto dai nostri mari non è effettivamente “nostro”, come vorrebbe far credere la demagogia dei potenti, per stuzzicare lo spirito patriottico di alcuni. I giacimenti sono/sarebbero ceduti in concessione a soggetti terzi che, pagando all’Italia royalties tra le più basse al mondo, immetterebbero poi sul mercato il prezioso fluido nero, ad uso e consumo di qualunque cliente.
Le attuali entrate del governo per i pozzi attivi, ammontano ad una cifra variabile tra i 300 e i 400 ml€/anno. Potrebbe sembrare una cifra considerevole, ma il caso vuole che sia esattamente la stessa quantità di denaro che il Governo è disposto con estrema serenità a bruciare per mandare alle urne i cittadini italiani con una giornata “ad hoc” per il referendum, avendo rifiutato l’accorpamento in un #ElectionDay con il primo turno delle amministrative. Il Referendum è stato infatti indetto alla prima domenica utile, il 17 aprile, per ostacolare il raggiungimento del quorum.
E allora andiamoci, alle urne. Diamo un senso a questi 350 milioni di schiaffi alla miseria, buttati a mare da un governo ancorato a scelte fallimentari e incapace di esercitare la democrazia.
Andiamoci e diciamo SI per abrogare la norma introdotta dall’ultima Legge di Stabilità che permette alle attuali concessioni di estrazione e di ricerca di petrolio e gas entro le 12 miglia dalla costa di non avere alcuna scadenza.
Andiamoci e diciamo SI ad una nuova strategia energetica che ci porti fuori al più presto dalla dipendenza dalle fonti fossili e dai conflitti che queste generano in tutto il mondo (e di cui ci rendiamo complici).
Diciamo SI ad uscire dal criminale ricatto tra salute e lavoro, andando a spiegare a tutti che il lavoro può e deve essere sostenibile, e che lo è quando gli investimenti e le scelte a monte si chiamano green Economy, economia circolare, nuova mobilità, fonti rinnovabili di energia, efficienza energetica.
Diciamo SI alla democrazia energetica che parla di beni condivisi, di cittadini che non sono più oggetti passivi da spremere fino al collasso, ma attori e protagonisti del proprio futuro, capaci di generare benessere condiviso e una nuova alleanza tra persone e territorio.
Diciamo SI! A partire da quello per un futuro senza trivelle nei nostri mari.