I capricci di Renzi non ci faranno cambiare verso in Europa
Articolo di Monica Frassoni su Huffington Post –
L’UE non una tana di belve, ma neppure un palcoscenico con applauso garantito. E se Renzi va avanti cosi, il caso della nomina del commissario europeo italiano potrebbe davvero oscurare e depotenziare le altre più importanti priorità di questi sei mesi.
Personalmente, avrei auspicato un ben diverso esordio di Renzi alla presidenza UE e avrei voluto che tanta energia fosse dedicata invece che a indignarsi per le critiche sulla Mogherini, a iniziare subito una bella e rumorosa campagna per precisare che cosa si vuole fare con la famosa “flessibilità”, contro il conformismo di molti capi di stato (e di Mario Draghi) che pretendono di continuare come se nulla fosse con le fallite politiche di “riforma” e di austerità.
Renzi si è messo in una situazione che, a prescindere da come andrà, non darà qualità alla sua Presidenza. Anche perché il modo in cui sta portando avanti la sua battaglia assomiglia molto ad un capriccio finalizzato a mettere una bandiera su una poltrona di prestigio qualsiasi essa sia, molto più che a dare una vera politica estera all’Europa; Renzi pare convinto che l’ormai mitico 40,8% possa dare di per sé un peso e una rilevanza tale da fare accettare ad altri paesi una sua scelta solitaria e peraltro neanche ben motivata (tanto è vero che Le Monde l’ha definita “misteriosa”). C’è un po’ di arroganza nel pretendere che gli altri paesi accettino senza fiatare il nome portato a Bruxelles. Non si capisce per quale ragione gli altri 27 governi dovrebbero accettare quello che decide Renzi, senza fare delle considerazioni sul merito che questa scelta rappresenterebbe per l’Europa o per i loro paesi. E, a dieci anni dalla loro entrata nell’UE, la richiesta dei paesi dell’Europa dell’Est che sia preso in conto anche un loro candidato/a, per uno dei posti “di prestigio” della UE, mi pare del tutto legittima.Il rispetto per l’Italia non c’entra nulla e spiace che si continui a sottolineare questo tema, come se non ci fossero anche qui numerose perplessità su questa nomina, arrivata come un fulmine a ciel sereno e senza una particolare riflessione. L’Alto rappresentante della PESC e il Presidente del Consiglio non rappresentano i loro paesi e comunque devono avere il gradimento degli altri governi; e, nel caso dell’Alto rappresentante della PESC e dei Commissari, i candidati devono passare dalle forche caudine delle audizioni pubbliche al PE, che hanno già fatto cadere qualche testa (ricordate Buttiglione?).
Anche se qualche cinico storcerà il naso, vorrei davvero insistere su questo punto. Se la nostra Ministra degli Esteri e il suo capo Renzi pensano che la futura Signora PESC riuscirà a fare il commesso viaggiatore per gli interessi dell’Italia (quali, poi, se la nostra politica estera è alquanto nebulosa e non particolarmente visibile), si sbagliano. Peraltro, la questione della linea di politica estera dell’Italia è reale e non credo che ci sia un’intenzione di “ridimensionare” l’Italia dietro le critiche: non sono solo i polacchi o i baltici a porsi qualche problema sui rapporti con Putin. Anche a me preoccupa molto che, dopo l’uscita di scena di Berlusconi, amico di satrapi e dittatori, anche la Ministra degli esteri italiana sia andata a Mosca tutta sorrisi per un personaggio che da anni gioca un ruolo interno ed esterno devastante, dalla stretta sulle libertà dei russi, ai massacri in Cecenia e al sostegno ad Assad in Siria; e anche a me preoccupa parecchio, che nelle sue dichiarazioni di ieri a Gerusalemme la Ministra parli dei razzi di Hamas, ma nulla dica dei bombardamenti di Israele sulla gente di Gaza, a parte qualche parola di circostanza sulle vittime palestinesi.. Sospetto che abbia ragione Furio Colombo quando scrive che la Mogherini non può garantire una linea autonoma di politica estera per l’Italia, figuriamoci per l’Europa.
Infine, non sono per niente d’accordo con chi pensa che il fatto che Catherine Ashton non fosse qualificata quando è stata nominata, sia una ragione per ripetere l’errore di mettere in quel ruolo e per ragioni che non hanno assolutamente nulla a che vedere con l’interesse dell’Europa, una candidata che è percepita come non adeguata per un ruolo cosi difficile. La nomina della Ashton fu decisa nel corso di una passeggiata in giardino fra Gordon Brown, Zapatero e un paio di altri leaders socialisti al vertice europeo del novembre 2009, superando tranquillamente il fatto che PSE aveva indicato Massimo D’Alema (e Berlusconi aveva dato la disponibilità a nominarlo); la Ashton fu subito criticatissima per la sua inesperienza e questo vulnus le è rimasto addosso per tutto il suo mandato.
Non amata, non particolarmente brillante, questa sua mancanza di credibilità e prestigio ha reso molto più facile agli stati membri svuotare di contenuto una funzione che doveva – e per certi versi ancora deve- essere davvero inventata, in un modo andato addirittura al di là dei suoi demeriti personali: Catherine Ashton ha peraltro avuto al suo attivo qualche risultato positivo, in particolare in Iran e in Kossovo. Perciò non capisco, davvero, perché dovremmo ritrovarci in una situazione simile oggi, e per di più con una candidata italiana. Preciso che non conosco Federica Mogherini e sono sicura che sia persona seria. Ma dopo i cinque anni di mandato della Ashton, è molto chiaro che il nuovo signor o signora PESC deve riunire quattro virtù per avere una minima chance di riuscita: una vera e riconosciuta conoscenza delle sfide della politica internazionale e dei meccanismi europei, qualche idea sulle priorità che l’UE (e non solo l’Italia) dovrebbe portare avanti, un’enorme pazienza, una grande autonomia dagli Stati membri (e soprattutto dal proprio) e allo stesso tempo la capacità di avere il loro rispetto. Ci sono altri candidati italiani che hanno queste caratteristiche, qualora fosse necessario puntare per forza su questa “poltrona”. Prima fra tutti, Emma Bonino.
In conclusione, e, ripeto, al di là di come finirà, a me sembra, con tutto il rispetto per le persone coinvolte, che si stiano sprecando preziose risorse e anche il parziale recupero di prestigio su una battaglia assolutamente superflua e degna di miglior causa. Sei mesi sono pochi. E ancora non si è visto nulla di davvero chiaro che ci dica che l’Europa sotto Presidenza italiana comincerà a “cambiare verso”. Evitiamo di continuare a perdere tempo.