Della Seta e Ferrante su Huffington Post – Presidente Napolitano, per favore ritorni nei limiti
– Nei sette anni abbondanti del suo doppio mandato, Giorgio Napolitano ha spesso supplito alle mancanze – di responsabilità, di buonsenso, di realismo – della politica.
Questo lo ha reso molto popolare tra gli italiani e molto apprezzato nelle cancellerie di tutto il mondo. Questo, però, lo ha spinto anche ad allargare ogni giorno di più – davvero si può dire: ogni giorno – i confini formali e sostanziali del suo agire istituzionale: oggi noi siamo l’unico caso al mondo di una democrazia compiuta nella quale un sistema di governo parlamentare convive con un presidenzialismo di fatto, l’unico in cui un presidente della repubblica scelto dal parlamento, che dovrebbe svolgere funzioni di “arbitro” e di garante, è protagonista attivo del gioco politico come fosse un presidente eletto dal popolo, meglio da una “parte” del popolo.
Così, mentre il parlamento discute su come dare più efficacia alla nostra architettura istituzionale, mentre discute tra l’altro se confermare l’attuale sistema parlamentare o trasformarlo nel senso di un presidenzialismo più o meno marcato, la costituzione materiale sembra già segnata da un’impronta largamente presidenzialista, peraltro in assenza dei contrappesi indispensabili per l’equilibrio di un simile modello.
Il discorso tenuto nei giorni scorsi alla “cerimonia del ventaglio” è l’ultimo episodio, uno dei più vistosi, di questo progressivo e apparentemente inarrestabile scivolamento di senso del copione presidenziale di Napolitano. Nell’occasione, il presidente ha detto sul caso Shalabayeva che Alfano non deve dimettersi perché per i ministri non esiste “responsabilità oggettiva”, ha ammonito il Pd a non coltivare progetti di altre maggioranze da quella attuale e il Pdl a non confondere il destino giudiziario di Berlusconi con quello politico del governo, ha sostenuto che la caduta di Letta esporrebbe l’Italia a danni irrecuperabili. Insomma, ha parlato da “capitano” di una delle squadre in campo nell’attuale scena politica – la squadra delle larghe intese – molto più che da arbitro.