Costruire collettività con l’energia, facendo politica: una nuova politica #primadeldiluvio

Autoconsumo-energético1-290x290Un contributo di Sergio Ferraris, giornalista scientifico, direttore QualEnergia,  alla rassegna #primadeldiluvio, quello vero, di Green Italia e Possibile

Comunità. Una parola, o meglio un concetto, attuale, proiettato verso il futuro, ma oggi condannato da una certa politica, a essere “obsoleto” nella sostanza. Già perché anche in Italia il senso di comunità si è perso, sotto alla falce acuminata del liberismo che propone nei fatti, anche da parte di certa “sinistra”, il trionfo, e la solitudine, dell’individuo. Così se non c’è lavoro, si suggerisce di mettersi in proprio, se non c’è abbastanza welfare bisogna pensarci da soli con quello integrativo. E così via. E a poco a poco, si tende a trovare soluzioni individuali, ed estremamente parziali, a problemi che sono collettivi. Con una certa politica che soffia sul fuoco dell’individualismo, sia per calcolo elettorale, sia per indebolire la rappresentanza delle persone, dei cittadini.

Eppure ripensarsi come collettività sarà necessario, anzi obbligatorio. La crisi delle economie, del lavoro, della produzione e dell’ambiente, obbligheranno a un ripensamento in direzione del concetto di comunità, se vogliamo andare verso uno sviluppo umano e sostenibile. C’è un problema, però. Quello legato alle politiche e alle pratiche collettive, del ripensare le metodologie, sia tecniche, sia della politica dopo oltre trent’anni d’individualismo liberista che ha di fatto frantumato la società in una serie di individualità sconnesse.

L’energia può essere il laboratorio politico, sociale e ambientale nel quale ricostruire le collettività. Le rinnovabili con le tecnologie dell’informazione, infatti, consentono oggi di connettere produzione e consumi in maniera intelligente rendendo possibile la condivisione dell’energia all’interno di comunità che si possono costituire sulle nuove energie, prima, per poi passare ad altre forme di cooperazione, come quella, per esempio, sui servizi. E le comunità energetiche son anche le più semplici da realizzare. Basta, per modo di dire, connettere produttori e consumatori, attraverso una rete gestita in maniera intelligente ed ecco che le persone hanno a questo punto un interesse comune, l’energia, al quale affiancare un valore etico, come la difesa del clima per le generazioni future.

Tecnologie, etica e politiche, trovano così uno snodo, un punto cardine, in uno scenario collettivo. Nel quale le persone possono riconoscersi, raccontarsi e agire assieme. In pratica fare politica. Assieme. E non è un’utopia. In Europa le comunità energetiche sono oltre 2.400 e coinvolgono oltre 650mila cittadini che hanno investito due miliardi di euro in impianti a fonti rinnovabili, per la capacità di oltre 1 GW, producendo 1.100 posti di lavoro verdi.

In Scozia ci sono oltre 200 comunità energetiche per 30 MW mentre l’obiettivo al 2020 è di arrivare a 500MW. A Londra una serie di cooperative no profit, finanziate dai cittadini, riunite nella Brixton Energy, offrono ai loro soci un ritorno sull’investimento tra il 3 e il 5%. Stanno installando impianti fotovoltaici sui tetti in uno dei quartieri più problematici della città, con una parte dei proventi che vengono reinvestiti in un fondo per l’efficienza energetica che ristruttura le case dei meno abbienti del quartiere, combattendo così la fuel poverty, offrendo formazione e lavoro anche e specialmente agli abitanti del quartiere, il tutto con una moneta complementare per far si che il valore rimanga vicino ai cittadini.

In Danimarca oltre 600 cooperative forniscono calore con il teleriscaldamento ai cittadini e a Copenhagen sorge l’impianto eolico di Middelgrunden composto da 20 turbine d 2 MWe, per 40 MWe totali che è stato realizzato nel 2000 grazie a 10.000 cittadini che hanno fatto il 50% degli investimenti. Risultato: il 77% d’elettricità della capitale danese è rinnovabile. E dalla Danimarca arriva l’esempio di ciò che possono fare i cittadini. Nella cittadina danese di Ulfborg oltre 400 cittadini hanno lavorato per tre anni alla realizzazione di una turbina eolica da 2 MW partendo da zero. La turbina eolica è stata realizzata per alimentare la vicina scuola di Tvind, è alta 53 metri e ha tre pale da 27 metri. Piccolo dettaglio. È entrata in funzione il 29 Maggio 1975, per parecchi anni è stata la turbina eolica più grande del mondo e ancora oggi, dopo 41 anni funziona egregiamente, nonostante abbia lavorato per 150.540 ore, con 116.000.000 rotazioni delle pale. producendo 20 milioni di kWh. Da non sottovalutare che era stata realizzata all’epoca per una questione politica: protestare contro la scelta del nucleare della Danimarca.

In Italia si trovano solo cooperative e comunità energetiche e produttive, “dimenticate” dal monopolio Enel, nelle Alpi. Mentre nel settore della distribuzione è stata avviata la prima cooperativa di distribuzione elettrica che si chiama “ènostra”. A Prato allo Stelvio, in provincia di Bolzano, la cooperativa “E-Werk Prad”, nata nel 1926, è proprietaria sia della rete termica sia di quella elettrica e gestisce 17 impianti, a fonti rinnovabili, che coprono tutto il fabbisogno energetico del comune. In Valle d’Aosta, invece, troviamo la cooperativa Elettrica Gignod, nata nel 1927, per fornire una comunità montana “dimenticata” all’epoca dalla rete elettrica con un impianto idroelettrico da 110 kWe che sono diventati, prima 4,4 MWe nel 1980, e 6,7 MWe nel 2012, servendo 5.800 utenze, con 3.250 soci. A Dobbiaco la cooperativa FTI, che ha 500 soci, fornisce riscaldamento dal 1995, grazie a un impianto a biomasse da 18 MWth e uno a biogas da 132 kWth, a oltre 1.300 utenze anche nel vicino paese di San Candido con il 30% di risparmio sulla bolletta tradizionale. Il tutto in montagna, a 1.256 m d’altezza.

Cosa manca all’Italia per diffondere le comunità energetiche? Prima di tutto la politica. Già perché al di fuori degli esempi citati produrre energia in comunità e distribuirla, anche solo ai propri soci, è vietato. Ciò che serve, quindi, è una vera liberalizzazione dal basso, che consenta ai cittadini d’organizzarsi, sempre dal basso, e di produrre, gestire e consumare la propria energia. Oltretutto risparmiando. Manca poi una visione politica. Una visione che faccia da perno a un cambiamento concreto e comunicabile in maniera semplice. Che partendo dall’energia passi, poi, alla mobilità, ai servizi, al welfare, al lavoro. Producendo valore dai cittadini, verso i cittadini e per i cittadini. Cementando il tutto con l’identità e l’appartenenza verso qualcosa che è pratica comune. Si può fare e si deve fare. E l’energia può essere il primo laboratorio per testare una nuova politica.