Clima, un accordo poco ambizioso
Articolo di Monica Frassoni sul Manifesto –
Secondo molti autorevoli attori governativi e non, senza misure radicali a livello globale, il riscaldamento aumenterà di 3–4 gradi entro pochi decenni. Questo è il contesto davvero preoccupante nel quale deve essere inserito il G7 di Elmau. I principali media europei presentano l’esito del vertice come un grande successo di Angela Merkel, che dal primo giorno ha spinto per includere nella dichiarazione finale gli obiettivi di limitare a 2° C il riscaldamento del pianeta e di ridurre a zero le emissioni di gas serra, eliminando gradualmente i combustibili fossili fino a cancellarli del tutto entro la fine del secolo «includendo lo sviluppo e la diffusione di tecnologie innovative nello sforzo di trasformare il settore energetico entro il 2050».
Ma, guardandolo da vicino, l’accordo sul clima firmato in Baviera dai sette grandi del mondo è davvero così ambizioso? Potrà davvero rilanciare le prospettive di un trattato vincolante sulla riduzione delle emissioni, la fine dei sussidi ai fossili e adeguati strumenti finanziari per i paesi in via di sviluppo alla COP21 di Parigi? Potrà davvero sancire «la fine dell’era del carbone», dei fossili e del nucleare, che godono ancora oggi di 5 volte più sussidi pubblici che le rinnovabili ed il settore dell’efficienza energetica (5,3 trilioni di dollari all’anno)? Di sicuro c’è che le conclusioni del G7 rappresentano principalmente una vittoria per la Cancelliera tedesca, che voleva costruire un fronte compatto in vista della conferenza sul clima che si terrà a Parigi il prossimo dicembre: il tempo ci dirà se questo fronte sia davvero solido, considerando che Giappone e Canada sono da sempre dei freni potenti ad ogni decisione ambiziosa sul clima e Obama è fortemente limitato da maggioranze ostili al Congresso. Comunque, le novità interessanti del G7 sono che si dice per la prima volta che bisogna stare su «upper end of the latest IPPCC report reccomandation 40–70%» entro il 2050 e l’impegno di uscire dai fossili.
Purtroppo non si è riusciti, invece, a citare l’obiettivo di raggiungere un sistema energetico di rinnovabili al 100% come proposto dagli ecologisti e molte ng e come sostenuto da Angela Merkel.
Quanto alla piccola Italia, come sempre non ha toccato palla. Matteo Renzi anche stavolta ha dimostrato di non avere alcun particolare interesse a giocare davvero la partita del clima, accontentandosi di fare da spettatore; d’altra parte, mantiene in casa una politica incoerente con gli obiettivi dichiarati ad Elmau, in particolare a causa dei colpi continui alle rinnovabili e delle decisioni su gasdotti e trivellazioni.
La coerenza fra pubblici propositi e azioni concrete è pero un problema generale. Oxfam ci dice che Gran Bretagna, Germania, Italia, Giappone e Francia hanno bruciato (solo nel 2013) il 16% di carbone in più rispetto al 2009. Solo gli Stati Uniti e il Canada, tra i Paesi del G7 riuniti ad Elmau, hanno ridotto il consumo di carbone rispetto ai livelli raggiunti nel periodo del vertice sul clima di Copenaghen del 2009, anche se entrambi i paesi hanno propositi aggressivi sulle fossili rispettivamente per le trivellazioni nell’Artico e per l’uso intensivo di sabbie bituminose. Il tutto — sottolinea Oxfam — mentre pubblicamente si chiede ai Paesi in via di sviluppo di dare un taglio alle emissioni climalteranti.
Insomma, Elmau a parte, gli impegni presi finora da Usa, Cina, Ue non bastano a centrare l’obiettivo dei 2°, oltre i quali il clima impazzirebbe. Secondo Climate Action Tracker gli impegni attuali costituiscono solo il 5 per cento di quello che sarebbe necessario fare entro il 2020.
Ma a parte la questione della riduzione delle emissioni, la partita che deciderà il destino dei negoziati sul clima e la nostra capacità di iniziare a fare sul serio è quella sul futuro dei combustibilifossili.
Rispetto a sei anni fa, quando nella capitale danese la conferenza sul clima finì con un’impasse, oggi ci sono segnali che qualcosa si muove nella giusta direzione: il problema è capire se questi segnali riusciranno a far cambiare strada rispetto all’attuale persistente dipendenza dai fossili. Usa e Cina si sono spesi per prendere impegni precisi, anche se ancora limitati, di riduzione delle emissioni di Co2. Persino il Papa e la grande finanza: molti oggi parlano di disinvestimento dai combustibili fossili. E una grande banca come Hsbc offre adesso un apposito pacchetto di proposte “verdi” ai propri clienti. Persino alcuni sceicchi sauditi sembrano disposti a passare al solare, dicendosi pronti a salutare finalmente l’oro nero. Sarà abbastanza? Ne dubitiamo, ma è ora che dobbiamo spingere e mobilitare l’opinione pubblica europea in vista di Parigi. L’Unione europea sta infatti perdendo il suo ruolo di avanguardia e leadership sul clima e sta lasciandosi sfuggire anche mercati e possibilità di investimenti; i numeri sui quali si è impegnata (40% di riduzione delle emissioni, 27% di rinnovabili ed efficienza al 2030) non sono sufficienti a cambiare davvero strada.
Come i Verdi europei propongono nella campagna appena partita, ci vorrebbe una riduzione delle emissioni di gas di almeno il 55% dai livelli del 1990 entro il 2030 al fine di creare una società “carbon-neutral” entro il 2050; il 40% di efficienza energetica (con concreti ed ambiziosi obiettivi a livello europeo, che avrebbero, se realizzati, un enorme potenziale economico in Italia); un incremento delle energie rinnovabili che copra il 45% del nostro fabbisogno energetico entro il 2030. Alcuni settori industriali ed economici sarebbero già disposti a seguire questa svolta, mentre altri, ancora molto forti, tirano indietro la politica e i governi.
A livello europeo e globale, la battaglia tra energie fossili, rinnovabili ed efficienza energetica è dunque ormai aperta. Non resta che disputare l’attesissimo match e fare di tutto per vincerlo.