Chi ha inventato i “respingimenti in mare” non ha titolo per attaccare l’Europa
Articolo di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffington Post
“Riportare gli immigrati in Libia senza esaminare i loro casi, li ha esposti al rischio di maltrattamenti ed è equivalso ad una espulsione collettiva (…). I ricorrenti sono stati esposti al rischio di maltrattamenti in Libia e di rimpatrio in Somalia ed Eritrea”. Questi alcuni brani della sentenza del febbraio 2012 con cui la Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato l’Italia per la pratica dei respingimenti in mare, contestando al nostro Paese la violazione di due articoli della Convenzione europea per i diritti dell’uomo: dell’articolo 3, che proibisce trattamenti inumani e degradanti, e dell’articolo 4, relativo al divieto delle espulsioni collettive.
Febbraio 2012. Presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi, Angelino Alfano era segretario del Pdl ma fino a pochi mesi prima era stato Ministro della Giustizia.
Ecco: se c’è qualcuno che non ha titolo, né politico né morale, per accusare l’Europa di inerzia e di irresponsabilità davanti al dramma di migliaia di africani (non meno di 20 mila) che per fuggire dalle guerre e dalle persecuzioni hanno trovato la morte nel Mediterraneo, questo è Angelino Alfano, per anni uno dei teorici e dei diretti ispiratori – Pdl e Lega in perfetta combutta – della pratica, oggettivamente criminale, dei respingimenti in mare.
L’Europa, anche questo è indiscutibile, ha più di una colpa. Come ha ricordato in queste ore la presidente dei Verdi europei e fondatrice di Green Italia Monica Frassoni, sono colpe gravi sia l’articolo della Convenzione di Dublino che obbliga i richiedenti asilo a fermarsi nel Paese di primo ingresso, sia la norma della Direttiva 90/2002 che equipara al favoreggiamento dell’ingresso illegale il soccorso in mare a un naufrago che è anche migrante economico o persona in cerca di protezione umanitaria.
L’Europa ha molte colpe, ma ripetiamo: l’ultimo ad avere titolo per additarle è l’attuale Vicepresidente del Consiglio, che peraltro come dimostra il recente caso Shalabayeva ha verso il tema dei diritti umani un atteggiamento quanto meno distratto. Più in generale, l’Italia prima di pretendere dall’Europa norme più efficaci e risorse più ingenti per scongiurare nuove stragi di innocenti in mare, deve fare chiarezza e pulizia in casa propria.
Intanto smettendola di presentarsi come il Paese che paga il prezzo più alto per dare protezione ai richiedenti asilo: tra gennaio e luglio di quest’anno, ha ricordato ancora Frassoni, abbiamo ricevuto 6.700 domande di asilo contro le 29.000 della Francia e le 51.000 della Germania, e contro gli oltre 70.000 rifugiati accolti dalla Grecia – la Grecia! – nel 2012. E poi togliendo di mezzo le parti più odiose e più dannose, dannose anche ai fini di una gestione controllata dei flussi migratori, della Legge Bossi-Fini, a cominciare dal reato di immigrazione clandestina.
Quanto alle risorse che ci assegna l’Europa per finanziare le politiche di controllo, di accoglienza e di integrazione degli immigrati, sarebbe bene che intanto il nostro Governo – magari evitando di affidare il compito ad Alfano – dicesse all’opinione pubblica come sono stati spesi gli oltre 200 milioni ricevuti dal 2007 a oggi da vari Fondi europei (controllo delle frontiere, rimpatri, rifugiati, integrazione).
Insomma. Va benissimo invocare il Premio Nobel per la Pace per la comunità di Lampedusa, che guidata dal suo grande sindaco Giusi Nicolini e affiancata da un gruppo meraviglioso di militari e di volontari si sobbarca in un’occasione così terribile tutto l’onere e l’onore di mostrare un’Italia all’altezza delle sue migliori tradizioni umanitarie.
Va benissimo la richiesta del Nobel a Lampedusa, ma se non cambiano in radice regole e comportamenti dello Stato italiano in materia di migrazioni e di asilo questa bella idea finirà sommersa come i poveri morti sepolti nel barcone che doveva portarli in salvo. Sepolta sotto un mare di ipocrisia.
6 ottobre 2013