Basta sociologia d’accatto, il calcio c’entra eccome
Articolo di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffington Post
E’ colpa della società violenta. E’ colpa della crisi economica che incattivisce. E’ colpa dell’informazione urlata. Magari è colpa della famiglia che non educa bene. L’incredibile sceneggiata di ieri sera all’Olimpico, culminata nella processione di giocatori, funzionari di polizia, responsabili sportivi verso la curva del Napoli per “strappare” a Genny ‘a Carogna il definitivo “ok si giochi”, ha dato l’occasione per l’abituale tripudio di luoghi comuni a sfondo sociologico.
A ripeterli ossessivamente gli stessi telecronisti Rai, preoccupati di sottolineare ogni momento che “quello che è successo non c’entra col calcio”. Invece col calcio c’entra, eccome.
L’Italia non è un Paese più violento della Spagna, o dell’Inghilterra, o degli Stati Uniti. E quanto a violenza diffusa, i paragoni letti sui giornali con il Sudamerica fanno letteralmente ridere.
No, il problema è esattamente nel nostro calcio professionistico, questo sì peggiore di tutti gli altri. Un sistema in mano a personaggi spesso mediocri e impresentabili, a società che hanno rapporti quotidiani con i loro “ultrà”: consenso a questo o quel presidente in cambio di “benefit”. E un sistema, anche questa è una stupidaggine da sfatare, che non è marcio perché “muove” troppi quattrini: nel calcio spagnolo e inglese o nello sport professionistico americano ne girano anche di più ma senza i nostri “effetti collaterali”.
Il problema è nel nostro calcio ed è anche, non c’è dubbio, in una vistosa e intollerabile immunità di cui godono i tifosi violenti anche rispetto alle forze dell’ordine. Non per dire, ma colpisce che negli stessi giorni in cui ritornano d’attualità casi terribili di abusi di singoli poliziotti che hanno causato la morte di cittadini inermi, si debba poi assistere allo spettacolo desolante offerto ieri sera: dei teppisti organizzati elevati pubblicamente al rango di “negoziatori” per decidere tutti insieme – i teppisti da una parte del tavolo, lo Stato dall’altra – se si dovesse o no giocare.
Era già successo – basti pensare al derby Roma-Lazio interrotto per decisione dello stesso De Santis sospettato di avere sparato ieri sera – e la lezione è rimasta del tutto inutile. E pensare che tra i “signori” del calcio italiano c’è ancora chi spudoratamente sostiene che se le famiglie non vanno più a vedere la partita è perché gli stadi sono troppo vecchi e brutti.