Acqua e fuoco: quando gli “elementi” svelano un Paese senza strategia
Articolo di Annalisa Corrado su La Stampa Tuttogreen
L’Italia va a fuoco.
Tanto polmoni verdi come boschi e parchi, quanto territori trasformati in discariche abusive per rifiuti pericolosi (che tutto dovrebbero fare, salvo andare a fuoco), continuano a bruciare in una morsa spaventosa e violentissima, frutto del combinato disposto tra interessi mafiosi, incapacità strategica delle istituzioni di presidiare e mettere in sicurezza il territorio, siccità e ondate “anomale” di calore (che tanto anomale non sono più, a causa degli effetti già concretissimi dei cambiamenti climatici).
Come segnala Legambiente, nel dossier incendi 2017: “Da metà giugno ad oggi sono 26.024 gli ettari di superfici boschive andati in fumo, pari al 93,8% del totale della superficie bruciata in tutto il 2016. Fiamme anche nelle aree protette, che sono sempre più nel mirino degli ecocriminali, a partire dal Vesuvio.”
Le responsabilità, al netto della vigliacca e ignobile mano criminale, è ramificata e diffusa nelle istituzioni: a partire dalle Regioni che non hanno ancora approvato il Piano Antincendio Boschivo, passando per quelle che lo hanno approvato senza poi definirne chiaramente gli aspetti operativi, fino a Governo e Ministeri che non hanno ancora completato, con i necessari decreti attuativi, il passaggio di competenze tra ex-Corpo Forestale e Carabinieri, fondamentale per poter presidiare il territorio attivando tutti gli strumenti di prevenzione possibili.
Dal fuoco all’acqua la situazione non migliora, con cause che si sovrappongono ed effetti negativi che si rinforzano a vicenda: così una strutturale riduzione della disponibilità della risorsa primaria per eccellenza, legata all’aumento delle temperatura in Italia, viene resa ancor più grave dagli effetti di una gestione scellerata (per sovrasfruttamento degli acquiferi, per inquinamento delle falde e del reticolo fluviale superficiale, passando per l’assenza di sistemi di accumulo per usi non potabili e/o di suddivisione ponderata tra consumo agricolo, industriale, uso civile, in aree sempre più intense e urbanizzate).
Una rete idrica che fa letteralmente acqua da tutte le parti, insomma, con perdite medie in Italia del 40% e nessuno che voglia prendersi la responsabilità di investire risorse per una profonda riqualificazione, senza poter tagliare nastri in cambio.
Sembra di vivere in un Paese di improvvisatori e sciacalli, che si alimentano di consenso e partoriscono slogan a prova di “pancia del Paese”, che propongono soluzioni emergenziali che non solo non risolvono i problemi, ma che magari amplificano il danno (come quella di chiudere le fontanelle pubbliche a Roma, i “nasoni”, che invece dissetano migliaia di invisibili in città ed evitano l’ulteriore proliferare di bottigliette di plastica per l’acqua, che diventano rifiuto appena pochi minuti dopo l’utilizzo, con cattiva pace dei cambiamenti climatici).
Insomma si pensa ai nasoni mentre il sistema è fatto di condotte che inesorabilmente implodono.
Improvvisatori e sciacalli, che dicono che sono i numeri che contano, essendo poi realmente incapaci di mettere a bilancio il costo della prevenzione e della cura, che diventa risibile in confronto ai danni che subisce la collettività, a causa dei beni comuni sistematicamente devastati.