Cancellare Schengen e rimettere le frontiere? Piuttosto aumentiamo trasparenza e collaborazione
Una riflessione di Monica Frassoni su Europa, terrorismo e chiusura delle frontiere –
Ci sono vari “becchini” in giro, che continuano a ripetere come un disco rotto che “Schengen”, cioè il sistema di libera circolazione delle persone che esiste fra 22 dei 28 paesi della UE, più Norvegia, Islanda, Svizzera, è morto e che è normale che lo sia, dato il “caos” provocato dall’afflusso di rifugiati e migranti di varie provenienze. C’è anche chi pensa che Schengen sia stata un tentativo generoso, ma irrealistico e che adesso è giusto lasciare perdere i voli pindarici, perché evidentemente con i buoni sentimenti non si va da nessuna parte eccetera, eccetera. Non credo Schengen sia morto, ma il fatto di continuare a ripeterlo, l’evidenza della moltiplicazione di “disobbedienze” e sgambetti fra gli stati europei, rischia di provocare disastri di cui non credo si misurino davvero le conseguenze e i costi. La prima cosa da dire è che la libera circolazione non è solo un risultato storico e bello, anche se naturalmente fa bene al cuore cancellare le frontiere. E’ stato un risultato raggiunto anche per ragioni economiche e pratiche. Non so se vi rendete conto di che cosa significherebbe riportare doganieri e frontiere; reintrodurre controlli sistematici stabili per tutti coloro che si muovono; rifare fare a treni e camion ore di code; rinunciare al sistema di informazioni, smontare Europol, ricominciare a non fidarsi dei propri vicini. Una totale follia. Perché è evidente a tutti coloro che hanno voglia di riflettere per più di 5 minuti, che rimettere le frontiere non risolverà alcuno dei problemi che abbiamo di fronte. Parliamo ad esempio di sicurezza. Gli attentatori che hanno colpito in Francia erano conosciuti ai servizi di sicurezza e erano cittadini comunitari. Peraltro, il famoso Salah è passato al controllo di polizia dopo l’attentato. Quindi? Il problema vero è che non c’è abbastanza scambio, abbastanza trasparenza, abbastanza Europa nei sistemi di sicurezza. E non ci sono abbastanza risorse per una politica sociale davvero inclusiva, non solo per migranti e rifugiati, ma anche molti europei. Con la crisi e l’austerità, in Francia i servizi sociali e di mediazione culturale nelle banlieu sono stati i primi a saltare. E il bilancio comunitario in materia di integrazione è stato tagliato del 20%!!
Insomma, spostare ingenti risorse per controllare voi e me quando andiamo a Parigi o Madrid non ci porterà certo più sicurezza.
E l’immigrazione? I rifugiati? Su questo tema, si sta consumando una tragedia orribile, in un contesto nel quale ogni giorno si verificano fatti che paiono fatti apposta per aumentare le paure e le angosce di tutti noi, non ultimo il capodanno da incubo per tante donne tedesche. Episodio che sta ogni giorno diventando l’occasione perfetta per trasformare da un giorno all’altro i volti sofferenti dei rifugiati che abbiamo visto sorridere all’arrivo in Germania, nel ghigno minaccioso di uomini in branchi violenti.
Stiamo entrando in una spirale pericolosa e penso che sia davvero importante e fare lo sforzo di chiarire, distinguere, capire. Smontare Schengen serve davvero a “proteggerci”? Veramente dobbiamo avere tutti l’obiettivo di tenere lontani e scaricare dal vicino il maggior numero possibile di persone che fuggono dalla guerra e hanno diritto ad essere protette?
Svezia e Danimarca introducono i controlli alla frontiera, anche se solo “temporaneamente”. Dicono che rispettivamente 163.000 e 23.000 (!) rifugiati sono troppi per le loro ricche società, cosa, in particolare per la Danimarca, tutta da dimostrare. Questo ha un impatto sulla Germania, che ne ha “presi “ quasi un milione, e l’Austria; i due paesi rimproverano alla Grecia e l’Italia di non fare gli “hotspots” e la Turchia, che ospita 2,3 milioni (!!) di siriani, di non fermare i flussi di aspiranti rifugiati nonostante i 3 miliardi di euro promessi a Erdogan, che da parte sua ha già cominciato ad arrestare e pare perfino a rinviare in Siria i profughi. A loro volta, la Grecia strangolata dall’austerity e l’Italia, che rifiuta di mettere in piedi un sistema di accoglienza che non sia solo un parcheggio spesso non dignitoso per persone che comunque non vogliono stare da noi, si lamentano del fatto che sui 160.000 ricollocamenti promessi, solo qualche centinaio sono stati realizzati. L’Olanda sta pensando di lanciare una mini-Schengen, che comprenda Benelux, Austria e Germania ma escluda la Francia e l’Italia. Come un tragico serpente che si morde la coda, stiamo tutti affondando in un melmoso gioco di scaricabarile senza alcuna visione comune, nel quale la Commissione, che si è mossa tardi, cerca di limitare i danni, ma ha anch’essa poco da mettere sul piatto, dato che il bilancio comunitario ammonta a meno dell’1% del PIL europeo, un’inezia. E, comunque, inutile invocare l’Europa se non si accetta di rispettare regole comuni e ognuno fa come gli pare.
A cosa serve dunque, rimettere le frontiere? A cercare di imbonire gli amici di Salvini, senza peraltro riuscirci; a fare soffrire e morire ancora più gente, che avrebbe diritto ad essere protetta e fugge per non morire; a creare inutili conflitti e sprecare risorse; a distruggere una delle poche realtà ancora evidenti dell’Europa unita, per niente, peraltro, perché nei prossimi mesi sarà ancora più evidente che o si accetta di avere sulla coscienza migliaia di persone o qualcosa si dovrà fare, insieme. Io penso che ci sia solo una strada. Quella di ammettere che il mondo non può essere tenuto fuori dalla porta e che non è vero che un continente di 500 milioni di abitanti non possa accogliere più di un milione di persone in una situazione di reale emergenza umanitaria, evitando di pesare sulla parte più debole della società europea. Come diceva una famosa pubblicità di gelati, è tutta una questione di priorità.
Dobbiamo organizzarci e spostare verso l’accoglienza risorse umane e materiali, oggi spesso sprecate in opere inutili o cooperative farlocche che condannano persone perfettamente abili a vegetare in campi fatiscenti (pare che tutti, da bodyguards a autotrasportatori si stanno cimentando nel ben pagato business dei rifugiati pagata dallo Stato). Continuare ad alimentare l’illusione della scorciatoia del muro e della barriera senza davvero governare un fenomeno che sta diventando strutturale significa prepararsi a un futuro molto più insicuro e violento. Oggi, il lavoro più importante e difficile che tutti noi, europeisti, democratici e realisti, dobbiamo fare è invertire il ragionamento dominante: che ci piaccia o no (a me piace), le nostre società sono già multiculturali. Come lo sono state già in passato, dall’Impero Romano in giù. Ora sta a noi trovare il modo di renderle vivibili, generose con chi ha bisogno, ma rigorose nel rifiuto dell’odio, della violenza e dell’esclusione, che venga da fanatici estremisti venuti da lontano o dai razzisti della porta accanto.