Il premier è figlio (legittimo) di D’Alema e Bersani
Articolo di Roberto Della Seta su Il Manifesto – Renzi pensa, parla, agisce come un politico di destra? Può darsi, in molti casi è evidente, ma le domande a questo punto diventano altre e sono più impegnative: com’è possibile che un politico così abbia “espugnato” senza grande difficoltà il Pd e oggi goda di un consenso largamente maggioritario nell’elettorato che si sente di sinistra e che ha sempre votato a sinistra? Dipende solo dalle sue doti obiettivamente straordinarie di istrione e demagogo? Io non credo, penso che se il Pd si sta trasformando nel partito personale di Renzi perdendo molti connotati tradizionali di un partito “di sinistra”, questo dipende da com’è stata la sinistra prima di lui.
Renzi, insomma, è figlio di D’Alema e di Bersani, nel senso che il suo avvento è la conseguenza di una sinistra, della sinistra italiana erede del Pci, che non ha mai fatto i conti con i propri ritardi, i vizi, le anomalie rispetto a buona parte delle sinistre europee. Una sinistra che da tempo non è più “contemporanea”: per questo si è progressivamente allontanata dagli italiani, compresi tanti che hanno continuato a votarla per abitudine o per mancanza di alternative, e anche per questo Renzi l’ha “spianata”.
Non ha fatto i conti, la sinistra ex-Pci, con tre questioni su cui si sono costruiti prima il suo declino e poi la sua definitiva sconfitta.
Una questione è squisitamente ideologica. Gli ex-Pci cambiarono il nome subito dopo l’Ottantanove, quando peraltro la “cosa” già aveva già pochissimo di comunista. Ma di quella storia hanno conservato un abito mentale che è stato di grave ostacolo per la comprensione dei cambiamenti del mondo e dell’Italia. Così, hanno continuato a misurare il progresso secondo categorie antidiluviane che separano struttura – il lavoro, la condizione materiale delle persone — e sovrastruttura – la legalità, la cultura, l’ambiente, la dimensione immateriale del benessere -, e a concepire l’economia e lo sviluppo come un secolo fa: certo non più “soviet e elettrificazione” ma comunque carbone (Ilva e dintorni), asfalto, cemento.
Così, sono rimasti prigionieri dell’idea del primato della politica sulla società, e della convinzione di essere – loro élite politica — migliori del popolo rozzo e ignorante che si fa infinocchiare da Berlusconi o da Grillo; così, ancora, proprio in quanto ex-comunisti hanno tentato di tutto per dimostrare di non esserlo più: dando prova di una compiacenza sistematica verso interessi costituiti e poteri forti, praticando una rigorosa astinenza da qualunque radicalità si chiami patrimoniale o stop al consumo di suolo o diritti degli omosessuali…
Una seconda questione è culturale. Oggi l’alfabeto politico della sinistra novecentesca è del tutto insufficiente a rappresentare i valori, i bisogni, gli interessi di chi si considera “di sinistra”. Fatica a integrare pienamente nel proprio discorso temi come l’ambiente che settori crescenti della società considerano centrali, non riesce a vedere che malgrado i drammi incombenti legati a disoccupazione e povertà sempre di meno le persone basano il proprio “essere sociale” prevalentemente sul lavoro.
In nessuno dei movimenti sociali e di opinione degli ultimi decenni ascrivibili a idealità di sinistra, il lavoro è stato l’elemento centrale: dall’ambientalismo al femminismo, dai no-global ai movimenti giovanili, dalle mobilitazioni per i diritti civili a quelle per i beni comuni. Il lavoro naturalmente conta tuttora moltissimo, conta tanto più in una stagione di drammatica crisi economica come l’attuale per l’Europa; ma oggi per dare senso e futuro alla parola progresso, specialmente per avere qualcosa da dire su questo che interessi i più giovani, non si può e non si deve mettere al centro solo il lavoro. In molti casi – sicuramente in
Germania e nel nord Europa, meno in Francia — i socialisti europei si sono lasciati trasformare da questi nuovi paradigmi. Gli ex-Pci no.
Infine, la sinistra post-comunista e pre-renziana ha lasciato marcire al proprio interno la questione morale. Il Pci e i partiti suoi eredi hanno sviluppato, a partire almeno dai primi anni Ottanta, un’attitudine crescente a coltivare rapporti opachi con gli interessi economici: quanto più si separavano dalla propria “diversità” politico-ideologica, e dai vincoli anche finanziari con il comunismo sovietico, e tanto più sono andati strutturando un rapporto pragmatico e spregiudicato con l’economia. Un rapporto nel quale hanno assunto uno spazio e un peso sempre più rilevanti legami di scambio politico-elettorale con poteri economici consolidati, dall’edilizia alla grande industria di Stato o sovvenzionata (energia, acciaio, cemento) al sistema bancario, e nel sud con i poteri legati alla criminalità organizzata.
La sinistra erede del Pci è stata anch’essa coinvolta in pieno nella questione morale: da Penati al Mose, dalla sanità pugliese alle “rimborsopoli” esplose in quasi tutte le regioni — nella realtà.
Allora non è Renzi che ha spianato la sinistra italiana: lui si è limitato a seppellire le macerie. Renzi è molto di più che l’antagonista, alla fine vittorioso, di Bersani, D’Alema e compagnia: è figlio loro, semmai va notato che la discendenza non è del tutto “illegittima”. Al di là e al di sotto di un’efficacissima retorica da innovatore, nei comportamenti ripete alcuni schemi mentali e politici tipici della sinistra ex-comunista: non sopporta i corpi intermedi, soprattutto quelli non “collaterali” al suo potere; parla e straparla di partito liquido all’americana ma poi pretende disciplina e obbedienza dai parlamentari Pd; strilla contro i poteri forti ma poi dall’Eni a Finmeccanica, dal programma di “rilancio” dell’energia fossile alla proroga delle concessioni autostradali fa di tutto per corteggiarli e blandirli.
Finisco come ho cominciato, con una domanda. Date queste premesse, è realistica e soprattutto è imminente la rinascita in Italia di una sinistra forte e vera?
Qui non ho una mia risposta ma solo una convinzione: chiunque voglia impegnarsi per questo scopo deve sapere che l’impresa, per non essere pura follia, presuppone sì il superamento di Renzi ma altrettanto la definitiva sepoltura di molte delle idee e dei comportamenti che prima di Renzi abitavano la sinistra italiana e che continuano, mi pare, ad abitare buona parte degli anti-renziani del Pd.