Contro Marino l’assalto dei poteri abusivi spodestati
Articolo di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffington Post
Attorno al decreto “salva-Roma”, alla sua decadenza, agli attacchi concentrici contro il sindaco Marino da parte di avversari, presunti alleati e altri interessi vari si sta consumando una mistificazione davvero smisurata.
Cosa davvero si rimprovera all’amministrazione Marino, che governa la capitale da poco più di sei mesi?
Non certo il buco di bilancio, graziosa eredità di Alemanno che per due anni ha continuato a spendere centinaia di milioni che in base ad un decreto del governo Monti del 2011 non arrivavano più. No, Marino è sotto attacco per tutt’altro, e proprio la vicenda del decreto “salva-Roma” lo dimostra. Il provvedimento non è caduto per l’opposizione, scontata e fisiologica, di Cinquestelle e Lega, ma a causa del “fuoco amico“. E’ stato tenuto fermo per settimane in Senato perché una parte della maggioranza pretendeva, per approvarlo, che vi fosse inserito l’obbligo per il Comune di Roma di dismettere le partecipazioni nelle aziende ex-municipalizzate, a cominciare da Acea. Pretesa non proprio innocente, visto che ad avvantaggiarsi della vendita delle quote di Acea oggi in mano comunale sarebbero i soci privati, primo fra tutti quel Caltagirone (15% delle azioni) che a Roma spadroneggia un po’ dappertutto: costruzioni, Acea, giornali… Marino ha rifiutato questa ipotesi, e ha fatto benissimo per la banale ragione che Acea si occupa, oltre che di elettricità (piuttosto male con il suo attuale management privato), anche di acqua, e privatizzare la gestione delle risorse idriche vorrebbe dire rinnegare il risultato dei referendum del 2011 in base al quale la gestione dell’acqua dev’essere pubblica.
Del resto, questo non è l’unico caso che vede Marino in aperto contrasto con i “poteri forti” romani, abituati da decenni a contrattare con le amministrazioni di turno ogni scelta pubblica che interferisca con le loro convenienze private. Ha chiuso la discarica di Malagrotta, di fatto esaurita da tempo ma ancora in funzione, mettendo fine prima ancora che intervenisse la magistratura a quarant’anni di monopolio della gestione dei rifiuti in capo a Cerroni. Ha cancellato le delibere varate da Alemanno che derogando dalle previsioni del piano regolatore avrebbero riversato un’ennesima colata di cemento su centinaia di ettari agricoli dell’agro romano e regalato immense plusvalenze ai padroni della rendita fondiaria. E ancora, Marino ha avviato la chiusura al traffico privato di via dei Fori Imperiali: scelta preannunciata a parole dai tempi del sindaco Petroselli ma mai attuata, svolta simbolica nella direzione di una città non più come oggi ostaggio di un rapporto tra auto e abitanti (un’auto ogni romano adulto) senza eguali in Europa e anche per questo priva di un decente sistema di trasporti pubblici.
Questo le vere “colpe” di Ignazio Marino, insieme a uno stile amministrativo che ha tolto spazio e potere a capi-corrente e capi-bastone vari. Per esempio, l’attuale sindaco ha il “terribile vizio” di decidere in autonomia su nomine e incarichi di propria competenza, cioè di non farseli dettare “pro-quota” da partiti (di maggioranza e di opposizione), correnti, sottocorrenti. Dopo di che, com’è evidente, i mali amministrativi di Roma restano grandi e talvolta drammatici, dalla crisi finanziaria ai rifiuti alla manutenzione urbana alla mobilità al collasso: ma tutto serve, per provare a guarirli, tranne tornare all’andazzo di sempre, ai comitati d’affari incistati nel potere pubblico, alle scelte urbanistiche fatte a immagine e somiglianza dei palazzinari.
Cioè esattamente alle dinamiche che questi stessi mali hanno in buona parte determinato. Roma per diventare una capitale finalmente europea, i romani per recuperare fiducia nel futuro, non hanno bisogno di improbabili restaurazioni: per questo chi oggi si scaglia contro Marino è parte del problema, non della soluzione.