Larghe intese in Senato per salvare l’abusivismo edilizio
Articolo su Huffington Post di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante –
Ieri il Senato italiano ha scritto una brutta pagina.
Con il voto di Forza Italia, Pd, Nuovo centrodestra, Scelta Civica e Popolari per l’Italia (contrari Sel, Cinquestelle e Lega) è stato approvato un disegno di legge che di fatto impedirebbe alla magistratura di dare esecuzione a migliaia di ordinanze di demolizione di immobili abusivi. Usiamo il condizionale perché la norma non è ancora legge dello Stato: dovrà passare all’esame della Camera e c’è da sperare – per una volta: benedetto bicameralismo! – che Montecitorio lo bocci.
La norma salva-abusivismo è scarna e apparentemente banale: fissa una gerarchia di abusi dal più grave – immobile realizzato da un camorrista – al più “leggero” – semplice casa abusiva – e stabilisce che per procedere alla demolizione degli abusi più comuni, che sono naturalmente la maggioranza, debbano essere stati abbattuti tutti gli altri. Il motivo, meglio il pretesto, del provvedimento èproteggere i cosiddetti abusivi di necessità, “poveri diavoli” che abitano nella casa costruita illegalmente. Solo è piuttosto raro che un mafioso o un camorrista conclamati firmino con nome e cognome un abuso, e invece è frequentissimo che i “poveri diavoli” siano prestanome di diavoli meno poveri e che queste “prime case” abusive – specie nelle zone a vocazione turistica – vengano in realtà affittate in nero a 1000 o 2000 euro a settimana.
Del resto, per capire il senso di questa legge basta rifarne la storia. Il testo votato dal Senato nasce dall’ennesimo tentativo di un gruppetto di senatori campani di riaprire le porte al condono edilizio. Per loro tre sanatorie generalizzate in meno di trent’anni (1985, 1994 e 2003, le ultime due fatte da governi Berlusconi) non sono bastate, non hanno distrutto sufficiente territorio e aggravato nella giusta misura l’insicurezza abitativa che vede centinaia di migliaia di italiani vivere in case costruite illegalmente e anche per questo costruite male. Si può fare di più e di peggio, questa la loro battaglia, si può per esempio come nel caso in questione introdurre norme bizantine per le quali le demolizioni sono di fatto rese impossibili.
Questo gruppetto di “volenterosi”, già all’opera nella scorsa legislatura, è capeggiato dall’ex-ministro della giustizia Nitto Palma. Fino a oggi aveva sempre fallito l’obiettivo, poi sono arrivati a sostenerlo anche alcuni senatori del Pd – Cuomo e Capacchione in testa – e soprattutto sono arrivate le larghe intese. Dove non è riuscito il Parlamento 2008-2013 a larga maggioranza berlusconiana, rischia di riuscire – varando una legge che non è un nuovo condono ma una sorta di mordacchia alla repressione dell’abusivismo – questo Parlamento di amorosi sensi tra destra e sinistra.
Ripetiamo: l’auspicio è che la Camera ripari al danno, ma intanto va registrata la gravità di quanto accaduto in Senato. Il centrosinistra italiano si era sempre opposto ad ogni proposta, iniziativa che abbassasse la guardia nella lotta all’abusivismo edilizio, piaga tutta italiana che in particolare nel Mezzogiorno ha provocato ferite inguaribili all’ambiente e al paesaggio. Secondo le stime di Legambiente, oltre il 20% di tutte le case costruite nel Sud negli ultimi decenni è illegale: un business colossale, che in molti casi è gestito in prima persona dalle ecomafie e che ha evaso tasse per miliardi. Proprio la Campania, terra d’origine dei fautori della norma salva-abusivismo, è probabilmente la regione in cui il mattone illegale ha imperversato di più, letteralmente sfigurando città e campagne, coste e sponde fluviali: basti pensare a migliaia di case illegali sorte sulle pendici del Vesuvio, dove l’alto rischio vulcanico imporrebbe di non tirare su nemmeno un metro cubo, o all’isola d’Ischia dove la magistratura ha ordinato – e con questa legge si vedrebbe impedite – centinaia di demolizioni.
Contro tutto questo il centrosinistra si era sempre battuto, almeno in Parlamento. Ora in Senato ha fatto un passo indietro: una prova in più che tra larghe intese e buona politica non corre buon sangue.