Muroni:”Un’Europa matrigna guidata dalle lobby allontana da sè i cittadini”
Di seguito l’intervento di Rossella Muroni, direttore generale di Legambiente , alla presentazione delle primarie verdi europee a Roma il 20 gennaio. –
A pochi mesi dalle elezioni europee e dal semestre europeo affidato all’Italia registriamo tutti i danni prodotti dalla politica economica dell’austerity imposta dall’Europa. Una politica che ha lasciato soli i cittadini davanti ai morsi della crisi, ha messo totalmente in discussione il principio di unità alla base della stessa idea originaria d’Europa, ha disegnato una governance di pochi Paesi forti a discapito dei paesi in difficoltà. Un’Europa matrigna che ha allontanato da sé i cittadini e alla guida della quale hanno saldamente manovrato le lobby dell’industria tradizionale e dei poteri economici e finanziari. Un’Europa che non ha saputo disegnare e perseguire un’idea comune per uscire dalla crisi ma che ha saputo solo “tagliare” i rami considerati secchi.
Ecco allora la prima cosa che gli ambientalisti italiani ed europei devono chiedere a gran voce: che ci sia un’Europa sottratta al controllo delle oligarchie che oggi la governano e che invece vengano irrobustiti i processi di partecipazione e di decisione democratici.
Ma non possiamo limitarci a chiedere, sta a noi movimenti politici, partiti o associazioni, far vivere un’idea e una pratica di Europa che si opponga sia alle politiche brutali dell’austerity sia all’antieuropeismo dilagante che anche in Italia viene cavalcato in maniera becera e populista.
L’altro principio che l’ambientalismo europeo deve avere l’ambizione di far diventare tema popolare – richiesta sociale – è che le questioni ambientali sono parte costitutiva della risposta alla crisi economica e alla crisi sociale. I temi della qualità ambientale, dei nuovi stili di vita, di una vita più sana sono temi ormai largamente diffusi e seguiti dai cittadini: da questo punto di vista l’ambientalismo è davvero diventato in questi anni un gigante culturale. Rimaniamo però, noi ambientalisti, dei nani politici, affermazione assolutamente più vera in Italia che in Europa;
ma anche a livello sovranazionale noi sappiamo che l’ambiente è ben lungi dall’essere un tema consolidato o meglio un criterio centrale per decidere le politiche economiche.
Ed infatti negli ultimi anni anche sul fronte delle politiche ambientali registriamo in Europa un arretramento preoccupante, eppure l’Unione Europea è stata a lungo, noi ambientalisti italiani lo sappiamo bene, fautrice di una posizione avanzata e attenta sulla tutela dell’ambiente e sulla difesa dai cambiamenti climatici. Per anni abbiamo vissuto ed utilizzato le procedure di infrazione che arrivavano all’Italia dall’Europa per dimostrare la giustezza delle nostre posizioni e l’arretramento culturale e politico della nostra classe dirigente. E’ il caso in Italia delle politiche di contrasto all’inquinamento urbano, della vergognosa situazione della gestione dei rifiuti, delle politiche energetiche nazionali che hanno dovuto accettare i paletti posti dal 20 20 20 europeo – tranne poi boicottare di fatto le rinnovabili – degli attacchi alla biodiversità attraverso la violazione dei SIC…l’elenco è davvero troppo lungo. Siamo primi nella Ue per infrazioni e richiami. Alla fine del 2012 la Commissione europea ha aperto contro l’Italia ben 99 procedure di infrazione, il peggior risultato dell’Unione a 27 paesi.
I dati sull’inquinamento dell’aria diffusi dall’Agenzia europea dell’ambiente confermano quello che Legambiente sostiene da anni: l’inquinamento dell’aria resta uno dei principali problemi per la salute delle persone e per la salvaguardia dell’ambiente. Una vera e propria emergenza che colpisce anche e soprattutto il nostro Paese. Italia, Polonia, Slovacchia, Turchia e la regione dei Balcani sono le aree più critiche per gli elevati livelli di PM10 e PM2,5. La situazione in Italia è critica anche per i livelli di ozono e ossidi di azoto. A livello europeo la discussione del nuovo pacchetto di direttive sull’aria di questi mesi rappresenta un’occasione da non perdere per adottare politiche più risolutive.
Per questo Legambiente, insieme all’European Environmental Bureau (Eeb), la federazione europea di oltre 140 associazioni ambientaliste, e ad altre Ong chiede di prendere in considerazione tre proposte: L’adozione di significativi impegni di riduzione delle emissioni nell’ambito della revisione della direttiva Nec (National emission ceilings) e dice che «In particolare è necessario fissare limiti di emissione più stringenti e aumentare il numero di sostanze inquinanti a cui la direttiva si riferisce, aggiungendo anche il PM2,5 per il raggiungimento di “livelli di qualità dell’aria che non causino significativi effetti negativi, né rischi per la salute umana e per l’ambiente”. L’adozione di una normativa di settore che punti alla netta riduzione delle emissioni da tutte le fonti principali, come i trasporti, la combustione su piccola e media scala, l’agricoltura e l’uso di solventi. L’implementazione e il rafforzamento delle attuali norme europee sulla qualità dell’aria, prevedendo misure più severe e limiti più stringenti sulla base delle più recenti raccomandazioni fornite dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Certo non è piacevole, per dimostrare le proprie ragioni, utilizzare la messa in mora del proprio Paese, soprattutto per chi – come noi di Legambiente – ne è profondamente innamorato!
E per orgoglio nazionale devo sottolineare che in almeno tre occasioni abbiamo dato lezioni all’Europa: E’ il caso della legge italiana sulla messa al bando dei sacchetti di plastica – caparbiamente voluta dal Senatore Ferrante – che ha posto il nostro Paese all’avanguardia su un’azione concreta di riduzione dei rifiuti, tema quanto mai urgente ed inevaso e non sono mancati anche qui boicottaggi e pressioni delle lobby della plastica. Fino al 2010 la nostra Penisola era il primo paese europeo per consumo di sacchetti di plastica usa e getta, con una percentuale di consumo pari al 25% del totale commercializzato in Europa. Grazie all’entrata in vigore del bando sugli shopper non compostabili, dal 1 gennaio 2011 questa percentuale si è ridotta e sono state tracciate le basi per una strategia integrata sulla corretta gestione dei rifiuti, sulla riduzione della plastica, sulla tutela e la salvaguardia dell’ambiente marino e della biodiversità che prende finalmente avvio con una proposta di direttiva della Commissione Europea.
L’altro episodio su cui – non le politiche e il Governo certo – ma una comunità locale italiana, quella di Lampedusa, guidata dal nostro Sindaco Giusy Nicolini, ha dato lezione è il tema dell’accoglienza, un fronte su cui l’Europa ha mostrato un volto crudele e cinico, un disinteresse inquietante ed una risposta tutta centrata sul tema della sicurezza delle frontiere. Una risposta di nuovo non degna dei valori e della cultura comunitaria che sarebbero alla base dell’Unione Europea.
Infine l’intera vicenda sui referendum contro nucleare e a favore dell’acqua pubblica, con il suo portato di partecipazione e contrasto alle lobby energetiche tradizionali ha sicuramente raccontato un popolo italiano ben diverso da quello che solitamente appare in Europa.
Eppure ripeto, per anni, l’Europa ha rappresentato un orizzonte ampio a cui guardare contro l’asfissia delle dinamiche politiche e decisionali nazionali. Ora però anche a livello europeo si sta compiendo una svolta oscurantista sotto la pressione del mondo finanziario e delle grandi corporation: ogni giorno viene sfondato un argine da cui tracimano gli interessi privati e l’attacco all’ambiente naturale, sempre più apertamente sostenuti dai rappresentanti dei governi, Italia in testa. Basti pensare alla nota congiunta emessa dai ministri dello sviluppo economico e dell’industria di nove Stati membri dell’UE, fra cui il nostro Zanonato, sulla crisi dell’industria europea in cui si afferma che “è necessario che la Commissione analizzi il differenziale di competitività fra l’Europa e le altre economie avanzate, prodotto dal divario nei prezzi dell’energia e dagli impegni in materia di riduzione delle emissioni di CO2 e di produzione da fonti rinnovabili” e che si dovrà entro febbraio 2014 ridurre questo “differenziale di competitività”. È la prima volta che in Europa l‘attacco alle rinnovabili assume una dimensione sovranazionale. Ci si muove a testa bassa e al di fuori degli organi collegiali dell’Unione contro lo sforzo finora attuato per contrastare il cambiamento climatico. E, nello stesso tempo, si è disposti a sacrificare il futuro dell’industria, che risiede proprio nella sua riconversione “green”. Non sono tenute in alcun conto nemmeno le conclusioni dello studio del World Energy Council per cui nel 2030 le tecnologie verdi varranno il 34% del mix elettrico planetario.
Negativo anche il giudizio sulla nuova Politica agricola europea (Pac), l’accordo raggiunto fra Consiglio, Parlamento e Commissione per il periodo 2014-2020. È raro vedere tanto spreco di denaro pubblico in un momento in cui si tagliano tutti i bilanci e le politiche attive per l’occupazione sono diventate l’assillo di tutti i governi.
Si tratta nella sostanza di una falsa riforma che non avrà sostanziali ricadute positive sulla tutela dell’ambiente, sulla salute dei cittadini, sulla competitività e l’innovazione delle imprese agricole italiane ed europee. Confermati i sussidi all’agricoltura industriale ed i vecchi privilegi senza introdurre vere innovazioni per una maggiore competitività e sostenibilità ambientale ed economica delle nostre imprese agricole. In questo momento di crisi economica era necessaria una svolta radicale per l’agricoltura europea ed italiana verso un nuovo modello in grado di premiare le aziende agricole più virtuose, che producono maggiori benefici per la società, cibo sano, tutela dell’ambiente e capacità di creare lavoro per i giovani. Questo si aspettavano i cittadini Europei e invece ancora una volta si è perso un’occasione storica di cambiamento.
La riflessione sull’attuale qualità della democrazia in Europa appare oggi fondamentale. Il sempre maggiore consenso registrato dalle forze euroscettiche ed euro critiche non è forse un segnale di come il progetto europeo mostri un netto deficit democratico oltreché di comportamenti della burocrazia europea che ricordano sempre di più quelli della tanto detestata casta italiana? Per non parlare delle già citate miopi politiche economiche adottate per tentare di arginare la crisi in atto. E’ lecito chiedersi a quali regole si è ceduta una parte della propria sovranità nazionale. Emblematico è il caso italiano dove sia governi di centrosinistra che di centrodestra hanno proceduto alla ratifica dei Trattati ed introdotto strumenti come l’obbligo del pareggio di bilancio nella totale inconsapevolezza ed esclusione dei cittadini.