Ma prima di Berlusconi non c’era l’età dell’oro

berlusconiArticolo di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffington Post 

Le giornate di venerdì e sabato scorsi hanno segnato due delle tappe più significative e anche più “alte” nel lungo cammino presidenziale di Giorgio Napolitano.

Prima la visita al carcere di Poggioreale: con la scelta inusuale di parlare da Capo dello Stato davanti a un pubblico di detenuti, con il coraggio di pronunciare parole di verità sulla vergogna delle condizioni subumane di vita nelle prigioni italiane e parole di saggezza sull’urgenza di atti straordinari come un’amnistia perché tale vergogna sia almeno tamponata.

Viene inevitabilmente in testa un paragone: con il discorso tenuto da papa Wojityla davanti alle Camere riunite – era il 2002 – nel quale il pontefice invocò dai legislatori un atto che riportasse legalità e dignità nell’universo carcerario.

Poi, sabato a Milano, l’intervento emozionato al convegno in ricordo del suo amico Luigi Spaventa.

Nell’occasione Napolitano ha contrapposto la stagione politica odierna, caratterizzata dallo “smarrimento di ogni nozione di confronto civile e di ogni costume di rispetto istituzionale e personale”, agli anni per l’appunto in cui Spaventa fu parlamentare e ministro: anni di divisioni politiche non meno aspre di quelle attuali ma nei quali quest’asprezza era temperata dalla presenza su tutti i fronti di uomini come Spaventa animati da una forte nozione del bene comune.

Lucia Annunziata ha sintetizzato con efficacia su L’Huffington Post il retroterra logico di tale visione: a dominare questo come altri analoghi ammonimenti di Napolitano, così Annunziata, è la preoccupazione “che il presente si muova sull’orlo del caos e che solo una riconnessione con le regole del passato, e la guida di un gruppo di uomini eccelsi, possono salvarci da questo caos”.

Non è solo Napolitano ad augurare all’Italia di chiudere presto la “parentesi” di questa sterile e per tanti aspetti impresentabile seconda Repubblica tornando al clima politico più pacificato e meno sguaiato della prima.

La pensano più o meno come lui tutti quelli, in particolare, che considerano il ventennio berlusconiano una specie di accidente della storia, azzerato il quale l’Italia potrà finalmente ripartire.

Sarebbe stupido negare che questo modo di vedere le cose qualche base ragionevole ce l’abbia. Per esempio, è indiscutibile che corra un abisso tra la statura politico-culturale, e anche tra il senso di dignità istituzionale, di Spadolini e di Schifani o di Nilde Iotti e di Irene Pivetti, per limitare lo sguardo all’attuale centrodestra e ai ruoli di vertice delle istituzioni parlamentari; e ancora, è un dato di banale verità che molte delle italiane e degli italiani che siedono nell’attuale Parlamento (da tutte le parti), ai tempi di Spaventa deputato avrebbero sfigurato come portaborse degli eletti.

E però – ecco il limite decisivo di queste analisi – vagheggiare il ritorno a una “età dell’oro” ante-Berlusconi della politica italiana è idea che non regge ad una sia pure sbrigativa verifica dei fatti storici.

Non solo perché viviamo in un’epoca radicalmente e irreversibilmente diversa da quella di allora, che pone problemi e obbliga a sfide del tutto nuovi e che chiede alla politica, per affrontarli, mentalità completamente rinnovate. Ma anche e soprattutto perché il basso livello di qualità personale e di responsabilità pubblica di questo ceto politico è il risultato dell’inadeguatezza e delle degenerazioni di quell’altro: inadeguatezza e degenerazioni misurabili sia negli scandali di Tangentopoli sia nel fatto che tutti i mali che oggi rischiano di condannare l’Italia a un declino strutturale, sono nati nel pieno della prima Repubblica.

Sono nati o si sono incancreniti proprio negli anni in cui calcavano la scena politica più d’uno di quegli “uomini eccelsi” rimpianti da Napolitano.

Per limitarci ai “titoli”. Non nascono con Berlusconi la caduta dell’etica pubblica e la corruzione endemica nella politica, che diedero l’impronta almeno a tutti gli anni Ottanta e prepararono il terreno – dopo il terremoto di “mani pulite” – per la nascita e la rapidissima affermazione di Forza Italia.

Sono nati ancora prima l’illegalità diffusa dell’evasione fiscale dell’abusivismo edilizio (il primo condono edilizio è del 1985), e i legami diretti della criminalità organizzata con la politica (dalla strage di Portella della Ginestra fino all’omicidio Lima nel marzo 1992).

E vengono da molto prima di quest’ultimo ventennio anche l’esplosione del debito pubblico, la ricorrente difficoltà dell’Italia a crescere economicamente almeno agli stessi ritmi dell’Europa, l’estrema lentezza nel ricambio generazionale delle classi dirigenti, la speciale incapacità della politica di aprirsi a problemi e riflessioni inediti come quelli simboleggiati dall’ecologia.

Nessuno di questi nostri difetti cronici l’ha creato Berlusconi, seppure quasi tutti ha contribuito ad amplificarli. E dunque: è urgente uscire dal “tunnel” del berlusconismo? Certo che sì, ma si cerchi di uscirne dal lato giusto e intanto si smetta di coltivare il mito di una “arcadia” pre-berlusconiana che semplicemente non è mai esistita.