Venezia “set” per matrimoni un po’ pacchiani: dov’è il problema?

Articolo di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante per Huffington Post – 

“Venezia ridotta a set del matrimonio di Clooney lascia un retrogusto amaro”; come fanno tristezza Capri requisita per una festa russa e le masserie pugliesi usate come scenografia per le nozze miliardarie dei rampolli dell’acciaio indiano. Così Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera. Ma dov’è il problema?

Se l’amaro in bocca è per lo ‘show-off’ pacchiano e un po’ ridicolo dei nuovi ricchi o delle star di Hollywood, si può capire e condividere, salvando peraltro il povero (si fa per dire)Clooney che non ci pare abbia esagerato in ostentazione e sapendo inoltre che lo spettacolo non è nuovo. Di relativamente inedito, semmai, c’è che nel mondo unificato dalla globalizzazione e dal web i neo-plutocrati dell’ex-Terzo Mondo – arabi, indiani, russi, messicani, ormai persino qualche cinese… – scelgono spesso l’Europa per allestire la messa in scena del la loro smisurata prosperità. Ma il ‘kitsch’ di matrimoni e feste da favola esibiti pubblicamente come misura di successo e ricchezza non l’hanno inventato né gli indiani né i russi né gli arabi, è nato per l’appunto con lo star-system ed è nato in Europa (basta ricordare i matrimoni ‘televisivi’, non proprio sobri, tra Ranieri di Monaco e Grace Kelly o tra Carlo e Diana).

Se invece ad amareggiare e immalinconire è l’uso della bellezza italiana come sfondo per feste e celebrazioni, allora non capiamo. Perché dovremmo sentirci diminuiti se le nostre città e il nostro paesaggio – Venezia o Roma, Firenze o Taormina, il Salento o Capri o le Cinque Terre – vengono scelti da attori e ricconi vari come “set” dei loro divertimenti? Questa è la stessa idea che vent’anni fa faceva dire a Giuliano Amato che il rischio peggiore per l’Italia era di trasformarsi in una grande ‘Disneyland’ per lo svago e il piacere del mondo. Ed è un’idea profondamente sbagliata.

Nel mondo attuale e sempre di più in quello di domani ogni Paese conta e conterà per i talenti speciali di cui dispone e che sa mettere a valore, tradurre in economia. Ora, tra i talenti italiani la bellezza e il ‘buon-vivere’ sono di gran lunga i più importanti perché quelli più rari e più invidiati: bellezza delle città e del paesaggio, bellezza del made-in-Italy , bontà delle tradizioni agroalimentari e gastronomiche. Tutto questo si deve chiamare ‘effetto-Disneyland’? Può darsi, ma benvenuta Disneyland se significa convincerci che il turismo, l’accoglienza efficiente di quanti dalla Cina all’India, dall’America speriamo presto all’Africa coltivano il sogno di visitare l’Italia, sono tra le dimensioni più promettenti di un nostro possibile futuro da “global player”.

Oggi non ne sembriamo convinti, e il nostro declino viene anche da qui. In un bellissimo libro uscito di recente – “Fondata sulla bellezza“, editore Sperling & Kupfer – il giornalista Emilio Casalini scrive che “La bellezza è la prima qualità dell’Italia, è la sua stessa essenza. Tutto il mondo lo riconosce, ma non gli italiani, che continuano a calpestare, umiliare, nascondere o distruggere l’immenso patrimonio ambientale, paesaggistico e artistico che hanno ereditato. Eppure la bellezza è il punto fermo dal quale può partire la rinascita economica del Paese”. Noi la pensiamo come Casalini, e pensiamo che se dovesse capitare che in un’Italia “rifondata” sulla sua bellezza arrivino a sposarsi pacchianamente alcune decine di miliardari, lo scambio sarebbe accettabile.