Ue-Turchia: un’intesa cinica e inefficace

Volunteers help migrants and refugees on a dingy as they arrive at the shore of the northeastern Greek island of Lesbos, after crossing the Aegean sea from Turkey on Sunday, March 20, 2016. In another incident two Syrian refugees have been found dead on a boat on the first day of the implementation of an agreement between the EU and Turkey on handling the new arrivals. (AP Photo/Petros Giannakouris)Articolo di Monica Frassoni su Huffington Post – 

L’accordo raggiunto venerdì tra il Consiglio europea, la Commissione e la Turchia, dietro un linguaggio falsamente rassicurante e giuridicamente solido, apre in realtà la strada allo smantellamento del diritto individuale di asilo nella UE.

Le immagini delle folle festanti alle stazioni dell’estate scorsa sono ora sostituite dalle dichiarazioni di leader che tentano cinicamente e senza alcuna remora morale di organizzare respingimenti sistematici, del tutto illegali secondo le regole internazionali ed europee; respingimenti verso un paese in difficoltà economica e politica, che già deve fare fronte alla presenza di quasi tre milioni di rifugiati e migranti oltre a 300.000 profughi interni, dopo il riaccendersi del conflitto nel Sud-est, voluto dal presidente Erdogan e dalle frange estreme del fronte curdo. Non proprio verso un paese “sicuro”, insomma.

Questo “accordo” colpisce al cuore la credibilità dell’Unione europea come spazio di diritto, è “umiliante” come ha detto il portavoce del Vaticano, promette nuove tragedie, avrà un costo enorme per le casse pubbliche e non fermerà la pressione delle persone che cercano di raggiungere l’Europa, per la semplice ragione che le principali cause della loro fuga sono ancora tutte lì.

Leggendo il testo dell’accordo fra UE e Turchia, ci si rende subito conto di trovarsi di fronte al tentativo neppure tanto sofisticato di salvare capra e cavoli: la capra è l’illusione di poter respingere tutti e subito; i cavoli sono le leggi e direttive vigenti e le difficoltà amministrative e logistiche che lo renderanno estremamente difficile da applicare.

Si mantiene e anzi si accentua la pressione su Grecia e Turchia; si conferma la strategia della delocalizzazione a pagamento della gestione delle persone in arrivo da zone di guerra, senza preoccuparsi affatto delle condizioni in cui gli aspiranti rifugiati e migranti rischiano di essere tenuti: anche se basta guardare le condizioni pietose di migliaia di migranti e rifugiati, da Calais a Idomeni e l’assenza di una forte reazione pubblica e politica, per capire che in fondo é già cosi; peraltro, è evidente che per la UE l’unica possibilità di futuro per i siriani, iracheni, afghani e altre nazionalità è quella di stare in un campo a non fare nulla e ad aspettare la fine della guerra, possibilmente lontani da noi e senza dare loro la possibilità di essere troppo “comodi” e quindi istallarsi “troppo”. Come sostengono ad esempio le autorità francesi che non hanno autorizzato e anzi stanno bloccando il campo di casette di legno costruito da MSF su iniziativa di Damien Careme, sindaco verde di Grande Synthe, un centro di 21.000 abitanti alla periferia di Dunquerque, dove oggi vivono 1500 persone e che, non ottenendo fondi pubblici per gestire il campo, ha lanciato una campagna di crowdfunding per evitare di chiuderlo.

Ma non basta: il sistema ha un vizio di fondo. In effetti, il suo presupposto è che i membri dell’UE accettino di accogliere rapidamente un numero congruo di siriani e di altri rifugiati che sono in Turchia, al fine di incoraggiarli a non finire nelle mani di trafficanti e a scegliere canali legali. Ma nelle conclusioni del vertice, si afferma chiaramente che è previsto aumentare il numero delle persone da rilocalizzare nella UE, e questo numero è ridicolmente esiguo. L’accordo prevede infatti che a partire da domenica 20 marzo, le persone che sono già nelle isole dell’Egeo saranno portate sul continente e potranno essere oggetto dei programmi di trasferimento all’interno della UE. Coloro che arriveranno sulle isole da domenica saranno identificati e rispediti in Turchia, chiunque essi siano; se saranno riconosciuti come rifugiati finiranno in fondo a un’ipotetica lista di persone che potranno essere poi trasferite dalla Turchia all’interno dell’UE, fino a un massimo di 72.000 persone, cioè un numero inferiore a coloro che sono arrivati in Grecia dall’inizio dell’anno. Altro che fermare i trafficanti: l’unica ossessione è fermare gli arrivi, a qualunque costo e a qualunque condizione.

I suddetti trafficanti lo sanno benissimo e si stanno organizzando; sei rifugiati siriani sono arrivati in Italia su un’imbarcazione dalla Libia e Federica Mogherini ha avvertito gli Stati membri in una lettera che i trafficanti operano liberamente in quel paese e che ci sono almeno 450.000 potenziali “candidati” alla migrazione in Libia. Insomma, la possibilità che le scene di Idomeni si ripetano altrove è perfettamente verosimile.
L’accordo raggiunto dal Consiglio è dunque miope e inefficace. È cinico e costoso.

Eppure ci sarebbero altri modi di affrontare la questione: la Comunità di Sant’Egidio ha inaugurato un sistema di corridoio umanitario che dovrebbe essere potenziato e ampliato e che fa arrivare direttamente i profughi in luogo sicuro. L’esempio del sindaco francese di Grande Synthe non è isolato, fa seguito al lavoro di innumerevoli altre comunità e città che sono disponibili a organizzare in modo degno l’accoglienza di persone che hanno il diritto a essere protette e che si scontrano con l’ottusità di una politica che rincorre i populismi invece di risolvere i problemi; ci sono notevoli risorse che potrebbero essere destinate all’accoglienza e a creare condizioni anche di attività economica e integrazione sociale, che possono essere positive per tutti, invece che alla costruzione di muri (106 milioni per la barriera in Ungheria, ben 200 milioni di sterline spesi dagli inglesi per i fili spinati a Calais o i tre miliardi addizionali promessi alla Turchia); eccetera eccetera.

Insomma, penso che questo accordo non risolverà alcun problema. Anzi. Con l’arrivo dell’estate, se i conflitti non finiranno come per magia, ci troveremo molto probabilmente tutti, governi, politici, società civile, cittadini, di fronte a una scelta secca: accettare di sparare sui barconi e darla vinta a chi crea divisioni e paure, a chi ha sempre avuto torto, ma ha creato nella storia innumerevoli sofferenze e conflitti; o affrontare una situazione perfettamente gestibile, in termini di numeri, di risorse disponibili e anche di preparazione di molti cittadini, associazioni, enti locali per aiutare chi è nel bisogno, senza mettere a repentaglio la nostra sicurezza e il rispetto per i nostri valori.