Schulz e la politica dei due forni a Bruxelles (ovvero come tenere il piede in due scarpe e starci comodissimo)

Articolo di Monica Frassoni su Huffington Post

L’intervista concessa da Martin Schulz al Corriere è un tipico esempio di come la pratica democristiana della politica dei due forni sia un’opzione di successo anche in questa prima campagna elettorale fra candidati alla Commissione europea. A parole, e soprattutto quando si esprime nei paesi del Sud d’Europa, gioca la carta del progressista anti-austerità. Ma la realtà è ben diversa e ci dice che, a meno di una netta affermazione delle forze pro europee e progressiste, come sono i Verdi, e dei partiti socialisti meno “conservatori” tra i quali purtroppo non c’è il PD di Renzi, ci ritroveremo a fine maggio con un Parlamento governato dalla santa alleanza PSE-PPE.

Schulz è il leader politico che da anni pratica le larghe intese al Parlamento europeo, dalla spartizione di posti e incarichi alla politica che conta. È Schulz che nel 2009 ha impedito al PSE di presentare un candidato alla Commissione contro Barroso, rifiutando la proposta fatta da Dany Cohn-Bendit e da me per un’alleanza progressista, perché questo gli avrebbe impedito di diventare Presidente del Parlamento europeo sulla base di un’alleanza con i popolari. È Schulz che da leader del gruppo socialista ha per anni ceduto alla tentazione dell’accordo con i popolari su tutti i temi rilevanti, dalle modifiche dei Trattati, al Six Pack (la versione legislativa del Fiscal Compact). È stato Schulz che l’anno scorso, aggirando la posizione del PE, ha impedito di fare una battaglia vera sulle prospettive finanziarie (2013-2020) e si è preso la responsabilità di firmare un accordo che riduce il budget in modo sostanziale e proprio sulle politiche importanti per l’uscita dalla crisi: evidentemente, per rendersi credibile agli occhi del fronte conservatore e dei governi in generale, che non possono accettare di nominare alla Presidenza della Commissione un pericoloso sovversivo.

Ed è sempre Schulz che ha negoziato, da Presidente del PE e nonostante le proteste dei Verdi europei e tedeschi, la parte europea dell’accordo di governo della SPD con la Merkel, che non ha differenze reali rispetto a quello della CDU: niente eurobonds, austerità e “aggiustamento” per i paesi in crisi.

E, dulcis in fundo, non più tardi di un mese fa, Schulz ha firmato una dichiarazione comune con Juncker e Verhofstadt, che dice chiaramente che il prossimo presidente della Commissione sarà uno di loro tre, prefigurando già la Grosse Koalition brussellese che verrà.

Il punto è quindi molto chiaro: Schulz è orientato a governare la Commissione a partire da un accordo con il Partito Popolare anche al PE e, quindi, un accordo Schulz/Renzi-Juncker/Berlusconi-Alfano. L’unico modo per impedirlo e di dimostrare con i numeri che una coalizione decisamente pro-Europea, ma anche favorevole a una netta discontinuità rispetto alla politica di austerità cieca, che ha sicuramente peggiorato la situazione prodotta dalla crisi in molti paesi europei, può essere formata.

Questo vuole dire sicuramente interpellare il PD e il suo dinamico segretario sulle sue reali intenzioni post-elettorali. Ma soprattutto dare spazio e consenso a quelle forze politiche come GreenItalia/VerdiEuropei che fanno parte di famiglie politiche veramente influenti a livello europeo e portatrici di programmi chiari e alternativi (Green New Deal, Europa federale e no alla Troika) anche al fine di non permettere al PSE di trincerarsi dietro la mancanza di numeri per fare una comoda alleanza di continuità con la destra, che rappresenterebbe un ulteriore durissimo colpo alla già traballante legittimità del progetto europeo.