Qatar, no ai Mondiali della vergogna

Articolo di Roberto Della Seta su l’ Unità –

Stanno per cominciare i Mondiali di calcio in Brasile, ma altri Mondiali, mondiali della vergogna, sono già cominciati da mesi in Qatar.

Nei giorni scorsi il Sunday Times ha messo nero su bianco l’ipotesi che sulla scelta del Qatar come Paese ospitante dei Mondiali di calcio del 2022 siano volate mazzette da centinaia di milioni. Immediato il coro di riprovazione di opinionisti sportivi e anche di qualche dirigente del calcio, con tanto di richiesta alla Fifa di togliere la rassegna al Qatar e di spostarla in Paesi più rassicuranti e affidabili, tipo Inghilterra o Australia o Stati Uniti.

In questi giorni tutti lanciano allarmi e gridano allo scandalo per i “mondiali della corruzione”, però che i Mondiali di calcio in Qatar fossero un affare sporco era noto da mesi: almeno da quando – circa un anno fa – il Guardian pubblicò un dettagliato reportage raccontando le condizioni di autentica schiavitù nelle quali lavorano migliaia di operai, soprattutto immigrati pakistani, indiani e bengalesi, impiegati nei cantieri già all’opera per preparare il Paese alla prima grande kermesse calcistica in terra araba.

Sarà perché di mezzo non c’è Israele, calamita di ogni genere d’indignazione a sfondo pacifista o umanitario, ma in questo caso la denuncia del Guardian, seguita da dossier ancora più particolareggiati di “Amnesty International” e dell’”Organizzazione mondiale del lavoro” sulle condizioni in cui vivono e lavorano i lavoratori immigrati nell’emirato arabo, almeno in Occidente ha lasciato poche tracce.

Eppure lo scenario descritto in queste denunce è da brividi: in Quatar centinaia di migliaia  di immigrati dormono ammassati in piccoli dormitori senza climatizzatore, circondati da rifiuti e da fosse biologiche scoperte, e in diversi senza acqua potabile. Si sdraiano a terra per cercare refrigerio dal caldo, dove la temperatura, in Qatar, la notte raggiunge anche i 40 gradi. Secondo il Guardian, solo tra giugno e luglio 2013 sono morti nei cantieri del “boom” immobiliare collegato ai Mondiali del 2022 44 lavoratori, colpiti da crisi cardiache o vittime di incidenti sul lavoro. Ciò è avvenuto nell’area in cui si sta costruendo dal nulla un’intera città chiamata Lusail, destinata ad ospitare lo stadio della finale e dove andranno ad abitare oltre 200 mila persone.

Come denuncia l’Ituc – “l’International Trade Union Congress” – queste decine di morti sul lavoro non sono che la punta di un iceberg infinitamente più esteso. Gli immigrati che lavorano alla preparazione dei mondiali sono reclutati con quello stesso sistema della kafala (“sponsorizzazione”) al quale sottostanno in Qatar almeno due milioni di immigrati che lavorano nelle grandi imprese edili o come domestici al servizio dei ricchi qatarioti. Una volta assunti, sono privati del passaporto e di ogni diritto fondamentale: senza il permesso dello “sponsor” che li ha fatti arrivare non possono licenziarsi, lasciare il Paese o sporgere denuncia in caso di abusi, pena l’arresto o la deportazione. Sempre il Guardian riportava le testimonianze di alcuni dei lavoratori-schiavi di Lusail: sembrano arrivare da un altro mondo e da un’altra epoca, invece vengono da vicinissimo a noi.

Insomma, non ci volevano le accuse di corruzione a qualche dignitario della Fifa – non proprio una novità sconvolgente… – per capire che assegnare i Mondiali di calcio del 2022 a un Paese come il Qatar – monarchia assoluta dove l’intero potere e buona parte della ricchezza sono in mano ad un’unica famiglia e dove non esistono né controlli democratici né garanzie minime per il lavoro – avrebbe portato solo guai. Adesso, nei giorni d’inizio del grande spettacolo dei Mondiali brasiliani, c’è almeno da sperare che tra corruzione e schiavitù parta una grande campagna civile e di opinione per obbligare la Fifa a dire no ai Mondiali della vergogna del 2022.

ROBERTO DELLA SETA

 

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