L’Europa si disinteressa del clima

copArticolo di Roberto Della Seta su Il Fatto Quotidiano –

Non c’è solo Donald Trump a spargere incertezza e pessimismo sulla Conferenza sul Clima in corso a Marrakech. Negli obiettivi dichiarati, il vertice marocchino dovrebbe concretizzare soprattutto sul piano finanziario l’impegno, preso un anno fa a Parigi da quasi tutti i Paesi del mondo, a fare il necessario perché l’aumento della temperatura terrestre resti sotto i 2 gradi e i danni sociali ed economici già prodotti dal riscaldamento globale non diventino catastrofici: i timori che questo processo venga bloccato dall’elezione alla Casa Bianca del “negazionista” Trump, secondo il quale – parole testuali – il “climate change” è una bufala messa in giro dai cinesi per colpire l’America, pesano inevitabilmente sui lavori della Conferenza, ma almeno per gli ambientalisti europei altrettanto scoraggiante è lo spettacolo di un’Europa che ha perso del tutto, meglio ha abbandonato, il ruolo tenuto per anni di battistrada nella lotta ai cambiamenti climatici. A Marrakech l’Europa come protagonista al tavolo dei negoziati semplicemente non esiste. Sono venuti alcuni leader nazionali – Merkel, Hollande, Rajoy -, ma sul clima più ancora che sul resto l’Unione europea cammina ormai in ordine sparso: con Paesi come la Germania, l’Olanda, la Danimarca che a casa loro e qualunque sia la maggioranza politica che li governa spingono sulle politiche necessarie a stabilizzare il clima – efficienza energetica, fonti rinnovabili, meno petrolio e carbone -, e altri con in testa buona parte dei Paesi dell’est che come sull’immigrazione così anche su ambiente e clima remano contro qualunque innovazione. E l’Italia? Qui a Marrakech Renzi non si è visto, troppo concentrato sul “giudizio di Dio” del 4 dicembre, e del resto avrebbe avuto poco da dire: in Italia da anni, e a prescindere dal colore del governo di turno, le politiche ambientali sono al palo, e in particolare l’esecutivo guidato da Renzi si è distinto come paladino delle trivellazioni petrolifere e nemico dei produttori di energie rinnovabili.

L”afonia” dell’Europa sulla questione climatica ha del paradossale: solo qualche anno fa tutti i principali leader europei contestavano con forza l’indisponibilità mostrata per lungo tempo da Usa e Cina verso ogni impegno internazionale vincolante in materia, oggi ad indignarsi per le sparate di  Trump e a ricordare che l’Accordo siglato a Parigi è una scelta irreversibile è proprio la Cina, che nel frattempo si è messa lei alla testa del fronte mondiale contro il “climate change”.

Queste le cattive notizie, ma da Marrakech, dove insieme ai governi ci sono migliaia di Ong e di imprese, ne arrivano anche di buone. Mentre l’Europa balbetta, mentre Trump minaccia di uscire dall’Accordo di Parigi e promette di rilanciare negli Stati Uniti petrolio e carbone, in tutto il mondo sembra saldamente all’opera una forte dinamica tecnologica ed economica di radicale e positivo cambiamento nei modi di produrre e consumare l’energia, di progressiva fuoriuscita dei sistemi energetici dalla dipendenza dai combustibili fossili: nel 2015 gli investimenti in fonti rinnovabili sono cresciuti del 21% rispetto all’anno prima e hanno più che doppiato gli investimenti in fossili (290 miliardi contro 130); in Italia le energie pulite sono arrivate a coprire oltre un terzo del fabbisogno elettrico nazionale; la Cina, di gran lunga il primo consumatore di carbone nel mondo, ha deciso di dimezzarne l’uso entro il 2020. Accanto a queste “macro-tendenze”, moltissimi esempi più specifici confermano che il declino dell’energia fossile è inarrestabile. Per dire: proprio nel corso della Conferenza un rappresentante australiano ha annunciato che entro il 2020 tutta l’energia consumata nella capitale Canberra sarà rinnovabile e il governo olandese ha ribadito la scelta di mettere al bando dal 2025 le auto a benzina e diesel.

Insomma, per decenni gli ambientalisti si sono abituati a confidare nella politica per rendere più verde l’economia, e infinite volte si sono sentiti ripetere: “I vostri sono sogni, la dura logica dell’economia e del profitto vi condanna”. Oggi, e al di là delle conclusioni formali della Conferenza che presumibilmente registreranno poco più di un nulla di fatto, ai Trump e ai tanti governanti che per difendere gli interessi della vecchia energia continuano ad infischiarsene del clima che cambia possono cominciare a rispondere: “E’ l’economia, bellezza!”.

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