La frode della pacificazione e il vuoto del Pd: Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffingtonpost

La condanna definitiva di Berlusconi per frode fiscale ha un merito più grande di tutti: mostra per quello che è – un’idea mezza ridicola e mezza truffaldina, non meno fraudolenta dei milioni sottratti al fisco dal leader Pdl – la cosiddetta pacificazione. Ora si capirà fino a che punto questo inganno linguistico abbia corrotto anche l’alfabeto politico, e determini stabilmente le scelte, del Partito democratico.
Negli ultimi sei mesi la parola pacificazione è stata usata da tanti come passe-partout per legittimare varie schifezze, prima ancora per coprire il vuoto assoluto di progetti politici coerenti e contemporanei che si osserva tanto a destra che a sinistra, Pd in testa, e che l’esito del voto di febbraio ha solo reso più evidente. La prima e la più grave “schifezza”: trasformare la necessità – visto lo stallo elettorale – di “inventare” un Governo che riportasse l’Italia al voto ma dando tempo al Parlamento di cancellare il “porcellum” (i numeri per questo, come si sa, nelle Camere attuali ci sono), nell’azzardo delle larghe intese. Il governo Letta è figlio di questo immenso equivoco, ahinoi sponsorizzato dal presidente Napolitano.
Un altro frutto avvelenato, e deliberato, della “ideologia” della pacificazione è stato confondere due piani di ragionamento e di prospettiva inconfondibili: da una parte il rispetto che si deve tra schieramenti politici avversari (rispetto, va detto, che la sinistra italiana non ha mai avuto nei confronti degli elettori di centrodestra), dall’altra le differenze radicali e insuperabili non solo tra i programmi di Pd e Pdl ma tra le visioni del bene collettivo dei due elettorati di riferimento. Sì, visioni del bene comune e dell’etica pubblica: perché la destra berlusconiana ha proposto e coltivato per vent’anni un’idea più che di “Stato minimo”, di legalità e regole ridotte ai minimi termini. La sinistra, si può e si deve aggiungere, raramente ha reagito, anzi in molti casi ha cooperato attivamente – le cronache giudiziarie ne danno larga testimonianza – con questa deriva. Ma ciò non toglie nulla a un’evidenza di fondo: dalle decine di leggi “ad personam”, ai condoni fiscali ed edilizi, agli scandali che hanno affossato Formigoni e Polverini, fino al proclama letto dal pregiudicato Silvio Berlusconi davanti alle telecamere qualche minuto dopo la sentenza della Cassazione, la destra italiana nell’attuale versione godrà pure di un vasto consenso ma è animata da logiche e da comportamenti che la rendono obiettivamente “eversiva”. Logiche e intenzioni che quando si ascoltano esponenti del Pd come del Pdl disquisire di riforma condivisa della giustizia fanno venire i brividi.
Infine, l’appello alla pacificazione ha indotto più d’uno a rimuovere inconsapevolmente o a nascondere deliberatamente una banalissima verità: per fronteggiare i problemi urgenti e drammatici dell’Italia servono scelte decise, di forte rinnovamento, che in quanto tali non possono nascere nell’unanimismo. Le larghe intese, come dimostrano questi primi mesi di governo Letta, santificano piuttosto la continuità, la mediazione al ribasso, il rinvio delle decisioni. Cioè l’esatto contrario di quello che serve all’Italia. Questo impasse ha due possibili spiegazioni, nessuna delle quali rassicuranti (e tutte e due, temiamo, in parte vere): o le opinioni di Letta, Franceschini, Zanonato, Bersani sui temi politici all’ordine del giorno – interventi per il lavoro e per lo sviluppo, riforma del fisco, welfare, importanza dell’ambiente e dei beni comuni – non divergono granché da quelle di Alfano, Brunetta, Gasparri, e però in questo caso sono lontanissime dalle aspirazioni del popolo di centrosinistra; oppure per i capi democratici le larghe intese rappresentano soprattutto un’operazione di potere e una scelta di autoconservazione.
Ora, se non altro, la reazione prevedibile ma ugualmente sconvolgente di Berlusconi e dei suoi alla sentenza della Cassazione porta una buona notizia e apre a una speranza. La notizia è che la nomenclatura del Pd dovrà smetterla di bluffare: ha fatto di tutto per convincere i propri elettori che il caimano, il “giaguaro” da smacchiare, si fosse per miracolo tramutato in uno statista moderato e responsabile. Ma la natura del caimano e dei suoi cortigiani è più forte di qualunque bluff. Epifani, Letta, Bersani, dovranno giocare a carte scoperte: il Pdl strilla ma è probabile che non stacchi lui la spina al governo, la scelta se proseguire nella farsa della pacificazione, se farne la propria linea strategica, è tutta nelle mani del Pd.
Ed ecco invece la speranza: i dirigenti attuali del Partito democratico occupano di diritto le prime file della foto di gruppo del ventennio berlusconiano. E’ a causa di Berlusconi, della sua presenza anomala e politicamente paralizzante se in Italia lo schieramento progressista resta tuttora sotto l’egemonia delle idee “precontemporanee” e dell’istinto conservatore di post-comunisti ed ex-democristiani. Chissà che l’inizio della fine politica del caimano non porti aria fresca e pura anche nel campo asfittico del nostro centrosinistra.