La “distrazione” di Renzi e la resistibile rivincita dei fossili

Articolo di Monica Frassoni su Huffington Post –

Ci sono questioni che nel governo Renzi rimangono ai margini della discussione pubblica, non sono parte del furore riformatore e restano, così, preda delle lobby più retrive e nella più totale linea di continuità con i precedenti governi, Berlusconi incluso. Sono questioni che, peraltro, senza un radicale “cambio di passo”, ci porteranno dritti ad una Presidenza europea molto “inquinante”.

L’esempio più chiaro è la politica energetica. Dopo il successo del pacchetto Clima Energia 20/20/20, l’Ue deve ora decidere su cosa puntare in vista dei negoziati sul clima di Parigi nel 2015: efficienza energetica e rinnovabili attraverso la fissazione di obiettivi vincolanti a livello Ue entro il 2030, o soldi pubblici al gas di scisto, al fantomatico carbone “pulito”, al nucleare e a nuove e costose infrastrutture per trasportare il gas, attraverso la fissazione di un solo target poco ambizioso di riduzione di emissioni. Questa è la discussione in corso a Bruxelles, con una decisione prevista nel bel mezzo della Presidenza italiana: al Consiglio europeo di ottobre.

L’Italia non ha al momento una posizione ufficiale, ma è stata messa in piedi una “cabina di regia” coordinata da Palazzo Chigi. Pare comunque che il Presidente del Consiglio non abbia ancora considerato la questione, mentre il Ministro Guidi e il sottosegretario De Vincenti, corifei di Confindustria, spingono per la posizione più retriva e conservatrice, il Ministro Galletti, poi, non pare disposto a fare una vera battaglia su questo tema, diversamente dal suo predecessore oggi Ministro alla Giustizia, Orlando. Insomma, nel gioco dell’energia del futuro, l’Italia potrebbe scegliere nella più grande discrezione di stare con Polonia e Ungheria, invece che con Francia, Germania, Belgio e Danimarca, che hanno dichiarato il loro sostegno a tre target ambiziosi, di riduzione di emissioni, efficienza energetica e rinnovabili entro il 2030. Sappiamo che scadeva ieri il termine di una richiesta esplicita di Germania e Danimarca all’Italia di sottoscrivere un appello per target ambiziosi per l’efficienza energetica, non è chiaro, però, se sia già stata data una risposta.

Nel governo italiano la lobby fossile è forte e approfitta in pieno della sostanziale eco-indifferenza del Presidente del Consiglio. Non si spiegherebbero altrimenti le decisioni prese dal governo il 13 giugno sul metodo scelto per ridurre le bollette delle PMI: punitivo nei confronti delle rinnovabili. Queste decisioni marcano un punto a favore della lobby confindustriale contro ogni sviluppo dell’agenda energetica “non fossile”. Una crudele beffa, anche perché la maggior parte delle imprese coinvolte in questo ulteriore balzello sono proprio PMI!

Il Governo ha deciso di obbligare le imprese produttrici di rinnovabili a scegliere tra il pagare una tassa o il ridurre retroattivamente gli incentivi, spalmandoli su più anni. Tutto questo naturalmente in un contesto di zero dibattito pubblico, incentivi immutati per i fossili – che sono ingenti – e nessuna considerazione per le proposte alternative, che pure sono state presentate. È bene, inoltre, ricordare che se da una parte si colpiscono le rinnovabili in modo retroattivo, si conferma la decisione di sostenere con 1,2mld di euro in 20 anni una centrale a carbone nel Sulcis, con tecnologie per ora del tutto virtuali, ma già costosissime, come il CCS (nel decreto Destinazione Italia). Come si vede, ci sono settori che sfuggono ai tagli.

Ma perché mai, contro ogni logica economica e “climatica”, la riduzione delle bollette per le PMI deve passare attraverso la penalizzazione dell’unico settore energetico (insieme a quello dell’efficienza) che ci prepara all’uscita dalla dipendenza dei fossili, che ci aiuta a diminuire la nostra dipendenza energetica e le emissioni e che non inquina?

La ragione è che questo settore è una vittima facile. La lobby “fossile” è attiva, unita, ricca e organizzata a differenza di quella della cosiddetta “industria sostenibile”, che è senza protettori politici di peso, forse non troppo unita, e vittima ormai da tempo di una campagna di diffamazione molto efficace.
Quando sentite la frase “certo, rinnovabili ed efficienza vanno bene, ma bisogna investire in tutte le tecnologie per non restare a secco: abbiamo bisogno di tutte le fonti energetiche” oppure quella “le energie rinnovabili sono una buona cosa, ma hanno fatto esplodere le bollette” potete accendere l’allarme rosso: è propaganda fossile.

Dietro a questi argomenti apparentemente ovvi (non possiamo diventare “rinnovabili” in 2 mesi, la transizione richiede tempo) si nasconde in realtà la partita sulle scelte strategiche dei prossimi anni in Italia e in Europa, con il loro inevitabile corredo di investimenti e sussidi pubblici. Se vince l’idea che non c’è alcuna urgenza di scegliere e che tutte le tecnologie “nuove” e che si dice siano di minore impatto di C02 rispetto a petrolio e carbone (ad es. gas convenzionale o di scisto, CCS e nucleare) stanno sullo stesso piano di efficienza e rinnovabili, allora non servirà fissare target vincolanti ambiziosi per le rinnovabili e l’efficienza. Come spesso dice Squinzi, basterà fissare un target modesto di riduzione delle emissioni giusto per evitare di fare figuracce a livello dei negoziati internazionali sul clima e poi ognuno faccia quello che vuole.

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Potendo contare sul beneplacito di una Commissione Barroso in uscita, che ha perso da tempo il suo ruolo di avanguardia ed è sempre più succube del combinato disposto delle pressioni delle imprese energivore e dei produttori di energia tradizionale e della crescente insofferenza di molti stati membri di fronte alla prospettiva di nuove “imposizioni” da parte di Bruxelles. Pur dopo aver pubblicato un documento che prova che il gas di scisto non è assolutamente una prospettiva seria per uscire dalla dipendenza energetica, la stessa Commissione ha aperto la possibilità di presentare progetti di ricerca per l’estrazione del gas di scisto in Europa per un valore di 130mln di euro nel quadro del programma Horizon 2020, sottraendo così risorse preziose per la ricerca in energie “sostenibili”. Non stupisce neppure che anche importanti responsabili della Banca europea degli investimenti, numerosi ministri e rappresentanti industriali sostengano che il caro-energia sia dovuto agli incentivi alle rinnovabili, quando la Commissione europea stessa ha scritto nero su bianco che la causa del differenziale di costo con altre regioni del mondo sono le tasse unite all’alto costo delle materie prime importate (quindi la nostra dipendenza energetica) e solo in misura minore dagli incentivi alle rinnovabili.

Su questo tema la stessa Commissione europea ha scritto qualche mese fa (cancellando, non a caso, subito dopo il dato dal documento) che gli incentivi diretti per le rinnovabili ammontavano nel 2011 a circa 30mld di euro, al nucleare 35mld (sì, avete letto bene) e altri fossili 26mld. Infine, è sempre la Commissione Ue che spiega in un documento della Direzione Generale Economia e Finanze, facente capo al pasdaran della Troika e dell’austerity il Commissario Olli Rehn, che il costo dell’energia incide poco sulla competitività delle imprese e, comunque, essendo il sistema europeo più efficace di quello americano il differenziale di prezzo non è un problema così grave, rispetto alla qualità dei prodotti o alla capacità di rispondere ai cambiamenti dei mercati.

L’Italia, nonostante tutto, rimane uno dei paesi con il maggiore potenziale in termini di efficienza energeticacon la produzione di energie rinnovabili tra le più importanti d’Europa e con un basso livello d’intensità energetica del sistema produttivo. Negli anni scorsi sono stati creati centinaia di migliaia di posti di lavoro nell’industria delle rinnovabili e, come spiega il rapporto Green Italy 2014 di Symbola, le imprese che investono e assumono sono in buona parte imprese che utilizzano tecnologie “verdi”. Oggi sappiamo con certezza che l’intensità di “lavoro” nelle tecnologie verdi è maggiore rispetto ai settori tradizionali.

Insomma, è vero che dobbiamo descrivere un percorso di transizione dalla dipendenza dei combustibili fossili, dai quali non possiamo smettere di dipendere in due mesi. Ma se “accompagnare” la transizione significa continuare ad investire nei prossimi decenni denaro pubblico in tecnologie come il gas di scisto, la cattura di carbonio, la fusione nucleare e quindi – in tempi di ristrettezze economiche – rallentare gli investimenti e lo sviluppo di politiche sull’efficienza energetica e rinnovabili, allora questa transizione sarà molto più lenta ed esitante. Ecco perché è indispensabile fare emergere la posta in gioco a Bruxelles e il significato di decisioni apparentemente tecniche come il finanziamento della riduzione della bolletta alle PMI, cercando di riorientare e rendere meno “fossile” l’azione del Governo Renzi.

Questo obiettivo presuppone un’azione forte e coordinata delle forze sociali e politiche “ambientaliste” al momento ancora disperse e un ampio dibattito pubblico: bisogna che l’industria “sostenibile” si organizzi e passi al contrattacco. In Italia e in Europa, per rispondere alle false verità che dominano i conciliaboli nei corridoi di governo e parlamento, possiamo dimostrare che un nuovo modello di sviluppo è alle porte e che può dare un contributo positivo all’uscita dalla crisi.