Il fattore Mélenchon sul voto francese

Articolo di Monica Frassoni su Huffington Post –

Il ruolo della Francia in Europa, la sicurezza, come e soprattutto quale presidente potrà affrontare il declino economico e sociale di un grande paese, che si è sempre pensato tale: questi sono stati i temi che hanno deciso il primo turno dell’elezioni presidenziali francesi. Che sono state influenzate anche da contingenze determinanti, come le questioni giudiziarie di Francois Fillon o l’impossibilità per Benoit Hamon di emergere come una novità a sinistra rispetto al fallimentare quinquennio di Hollande; e questo, nonostante la sua sicura fede europeista e la chiarezza su alcune scelte ecologiste e progressiste, molto meglio formulate che quelle di Emmanuel Macron e Jean-Luc Melenchon.

Il voto a Melenchon ha secondo me “affondato” Hamon, ma anche impedito un risultato ancora migliore di Marine Le Pen, visto che su molti dei suoi temi, in particolare sulla globalizzazione e l’Europa, il candidato della “France insoumise” ha marciato sul suo stesso terreno, da sinistra, evitando così che tutti i voti arrabbiati andassero al Front National.

Adesso inizia una partita molto diversa rispetto al primo turno. Innanzitutto, anche se i giochi sembrano fatti per Macron, sarebbe un errore pensare che la Le Pen sia già battuta. E poi sarà difficile per Macron continuare a mantenere tutti nella nebbia rispetto a quale governo vorrà fare dopo il 7 maggio, quando dovrà inventarsi dal nulla liste di candidati di un partito che non c’è.

Naturalmente, è verosimile che nelle prossime due settimane Macron continuerà a dare un colpo al cerchio e una alla botte, rivendicando la sua strategia di non essere né di destra né di sinistra, rimanendo piuttosto vago e tutto sommato conformista, quando non conservatore, su economia, politica del lavoro, energia, immigrazione; insomma, al di là del suo determinato europeismo, non è chiaro fino a che punto saprà e vorrà portare avanti una politica realmente alternativa rispetto a quella imperante nella Ue, che, se ha rinunciato all’austerità più dura e rigida, non ha ancora scelto di puntare su investimenti e attività economiche innovative, per superare davvero la crisi economica e sociale che nutre ovunque il voto estremista e nazionalista.

In questo senso, la stizzita reazione di Melenchon, che come tutti i tribuni egocentrici non sa fare a meno di mettere se stesso al centro anche quando perde, rappresenta un problema: rinunciando almeno per il momento a schierarsi, con un discorso che è parso mettere sullo stesso piano Macron e Le Pen, citando in particolare il fatto (vero) dell’assenza di progetto e interesse di entrambi i finalisti sui temi dell’ecologia, Melenchon di fatto si tiene fuori dalla disputa intorno al secondo turno e dunque pare non essere interessato a un confronto con Macron sulle elezioni legislative e sulle priorità del prossimo governo.

Scelta molto discutibile, considerando anche lo scarso potere contrattuale sulle politiche concrete di un partito socialista in pezzi e nel quale molti dei maggiori responsabili della sua disfatta, da Hollande a Valls, sostengono Macron e il suo “social-liberalismo” non privo di ambiguità e contraddizioni.

L’indeterminatezza delle scelte di Macron, insomma, è utile per vincere le elezioni, ma senz’altro non per governare. L’auspicio è che, una volta conquistato l’Eliseo, il giovane presidente trovi una direzione di marcia che sposi decisamente l’idea di una Francia e di un’Europa libere da condizionamenti antiquati, dalla fede nuclearista, alla fascinazione per le liberalizzazioni e per gli interessi del grande business; e che rompa con la sua immagine di funzionario giovane e “cool” ma comunque tecnocrate, per nulla in sintonia con le fasce più disagiate della società francese, proprio quelle che bisognerà strappare alla morsa nazionalista e xenofoba di Marine Le Pen.

E per questo dovrà anche scegliere se puntare dopo il 7 maggio a conquistare i seguaci di Fillon o quel popolo ambientalista e di sinistra che lo vede come un esponente di quel social-liberismo che ha ucciso la speranza rappresentata da Hollande nel 2012 e che pensa che non saprà resistere al condizionamento della Germania, non importa chi vincerà in settembre fra Merkel o Schultz.

Gli ambientalisti francesi hanno già scelto di sostenere Macron e di battersi per rendere più “sostenibile” e meno fossile il suo programma. Vedremo se il resto della sinistra “insubordinata” preferirà rimanere a guardare o scenderà in campo. Se è vero che la Francia, come l’Italia, è un paese che guarda a destra, è anche vero che laddove Matteo Renzi ha fallito, perdendo rovinosamente la sfida di cambiare il paese non rinunciando alla vecchia politica e circondandosi di una classe dirigente mediocre, potrebbe invece riuscire Macron.