Il caro-energia? Non è tutta colpa dei sussidi alle rinnovabili

contatoriFrancesco Ferrante e Roberto Della Seta su lavoce.info

Uno dei mali più ricorrenti del nostro dibattito pubblico è che spesso si presenta infarcito di luoghi comuni, approssimazioni, pregiudizi, affermazioni apodittiche. Abitudine non sempre innocente, poiché in molti casi avvolge in un imballaggio di apparente buonsenso la difesa di ben determinati (e più che legittimi, se solo venissero dichiarati) interessi.
I COSTI DELL’ENERGIA

Non fa eccezione a questa regola la discussione sui costi dell’energia e sul peso che su di essi fanno gravare gli incentivi per le rinnovabili. Il problema, sia chiaro, esiste, ma per affrontarlo con serietà è bene partire da numeri veri e certi. Il rischio, altrimenti, è di scegliere risposte e soluzioni inutili o controproducenti, come peraltro sembra nelle intenzioni dello stesso Governo Letta.
Primo punto: è vero che in Italia si paga l’energia di più che altrove? Se il confronto è con laGermania, il più corretto riguardando la locomotiva d’Europa e l’altro grande paese manifatturiero europeo accanto all’Italia, ciò è senz’altro vero per le piccole e medie imprese, tessuto fondante del nostro sistema economico, ma non per tutte le altre categorie di consumatori. Quindi, una prima scelta utile potrebbe consistere nello spalmare in modo diverso i costi elettrici, magari copiando proprio dai tedeschi e tutelando di più, come fanno loro, le imprese più esposte sul mercato.

IL PESO DEGLI INCENTIVI

Secondo punto: quanto pesano gli incentivi sulle rinnovabili? La cifra che si legge ovunque è 12 miliardi all’anno. In realtà quello è il costo del totale delle componente A3, nella quale sono compresi anche costi che nulla hanno a che fare con le rinnovabili (per esempio i residui di quella vergogna che è stato il Cip6, incentivo introdotto a suo tempo per promuover le rinnovabili, ma di fatto utilizzato soprattutto per regalare decine di miliardi a petrolieri e produttori fossili con il trucco delle “assimilate”). Il peso direttamente attribuibile alle rinnovabili sono i 6,7 miliardi al fotovoltaico e i 3 destinati alle altre fonti. È tanto? È poco? Anche qui può aiutare a rispondere il confronto con la Germania, dove cittadini e imprese quest’anno per incentivare lo sviluppo delle rinnovabili sosterranno un costo del tutto analogo a quello italiano: circa 20 miliardi in un mercato elettrico doppio rispetto al nostro.
Terzo punto: ha senso lamentarsi perché avremmo installato “troppe” rinnovabili, per esempio ben 17mila MW di fotovoltaico contro i 3mila previsti appena pochi anni fa? Qui si sfiora davvero il paradosso: invece di rivendicare una leadership mondiale che ha permesso per esempio ai nostri produttori di inverter (la parte a più alto contenuto tecnologico in un impianto fotovoltaico) di essere i più ricercati al mondo (anche per i mega impianti che si costruiscono in Usa e in Cina), e che – caso non frequentissimo – può consentire all’Italia di guidare, anziché rincorrere, una grande rivoluzione tecnologica ed economica in atto, ci si lamenta che abbiamo fatto troppa strada.
Sgomberato (speriamo…) il campo dai tanti equivoci sui numeri, resta il cuore serio del problema: che fare per mettere ordine nei sistemi d’incentivazione delle energie rinnovabili, superando storture ed eccessi?
L’azione più urgente è semplificare le regole (iter autorizzativi, procedure d’accesso agli incentivi…), per accompagnare utilmente le rinnovabili, con incentivi decrescenti (per il nuovo fotovoltaico dal luglio scorso non ci sono più incentivi), alla sempre più vicina grid parity. Ciò senza dimenticare che si sta parlando di uno dei settori industriali che nella crisi hanno svolto più brillantemente una funzione anticiclica.
L’altra risposta necessaria al caro-energia consiste nel ripulire le bollette da tutti gli oneri impropri: sconti per le ferrovie, oneri per la dismissione del nucleare, contributi per le piccole isole, Iva non dovuta su quelli a che a tutti gli effetti non sono né beni né servizi. Questi costi, che vanno semmai ricondotti alla fiscalità generale, ammontano più o meno a 3 miliardi: esattamente la stessa somma che le menti geniali di scuola Mc Kinsey insediati da qualche tempo al ministero dello Sviluppo pensano di recuperare con la trovata “neo-tremontiana” dei bond sulle rinnovabili. Un’operazione folle che avrebbe l’effetto, spalmando su trent’anni gli oneri, di far pagare ai nostri figli e nipoti un altro bel pezzo di debito.