Contro impotenza e declino, 4 cose da fare insieme

Articolo di Monica Frassoni su Huffington Post –

“I duri si vedono quando il gioco si fa duro” diceva una famosa canzone di Billy Ocean.

La sfida delle prossime elezioni non è solo una questione di vincerle e perderle. Ma di capire come diavolo riusciremo a fare in modo che l’Italia sia l’avanguardia di un’Europa diversa e non diventi il paese dove il conservatorismo corporativo e nazionalista, quando non razzista, riuscirà dove altri hanno fallito. Ecco qualche riflessione su 4 priorità di azione possibile.

 Priorità n. 1: Diventare la vera alternativa concreta e inclusiva alla “cultura lepenista” che avanza in Italia e che non ha bisogno che i partiti populisti vincano le elezioni: le loro idee contaminano direttamente tutto il dibattito politico e mediatico.
 Gli eventi di questi giorni e settimane rendono la scommessa di ricostruire il fronte dei “progressisti” indispensabile: “progressisti” intesi come coloro che sono determinati a impedire la svolta (che ormai non è più solo a destra) del mondo politico e mediatico “mainstream” italiano, ma che si sta sempre più delineando come una svolta culturale lepenista che sta contagiando tutti, fondata su false notizie e falsi dati, su una crescente indifferenza rispetto a valori importanti come solidarietà, giustizia, tolleranza, sul dovere di difendere i più deboli e di rispettare i diritti di tutti; una miscela micidiale che crea un ambiente di paura, risentimento, ostilità e che crea una realtà che, a furia di ripeterla, alla fine finisce per esistere davvero. E, soprattutto, questo approccio non mira a risolvere i problemi, punta solo a raccogliere consenso immediato. Non c’è infatti alcuna soluzione concreta nella costruzione di muri tra comunità e persone e nelle scorciatoie delle mance elettorali, come ben hanno dimostrato gli anni di governo leghista/PDL e più di recente quello di Renzi.
 Il nostro primo obiettivo perciò deve essere il contrasto duro e visibile di questo approccio culturale e politico. Noi dobbiamo impedire che questa scelta diventi irreversibile, approfittando di questo momento di grande subbuglio e andando al di là della definizione identitaria della sinistra, perché dobbiamo descrivere concretamente come lo faremo e aggregare a partire dai temi. Se è verissimo che destra e sinistra esistono ancora, eccome, noi dobbiamo comunque puntare a raccogliere energie positive e alternative a questa deriva cupa anche tra chi di sinistra non è mai stato. In questo momento, insomma, dobbiamo ammainare l’idea di definire ogni prospettiva di governo facendo riferimento al PD e puntare a vincere culturalmente oltre che politicamente la battaglia in atto per la conquista di un voto che mi sento semplicemente di definire, nella tempesta attuale, “ragionevole” e non solo di sinistra.
Perché il PD sta perdendo la bussola di se stesso. Inutile farsi trascinare nel suo vortice: solo un successo chiaro, una capacità di “penetrazione” e contaminazione nell’opinione pubblica e nei media di proposte, soluzioni, donne e uomini “progressisti”, attenti ai valori, ai diritti, alle procedure di partecipazione e democrazia, pro-europei, innovativi, socialmente responsabili e molto “ecologici” potranno marcare anche in Italia la sconfitta del fronte lepenista/grillino. Questo passa dalla scelta delle priorità e delle persone che le rappresentano e non delle riaffermazioni identitarie. Non sono convinta della pratica corrente nella sinistra di definirsi per parole d’ordine: art.18! Reddito di cittadinanza! Accoglienza! No ai voucher! Con noi chi ha votato No al referendum! O chi era contro la guerra in Kosovo!

Ognuno di questi concetti ha senso e storia, ma sarebbe importante portare contenuti che oggi sono marginali (quali la scelta concreta di un modello di sviluppo “verde”, pro-europeismo non ambiguo) e soprattutto cercando molti compagni di strada che per ora non ci sono.

Priorità n. 2: Organizzare la riscossa della società multiculturale e multicolore: società aperta versus chiusa.

Applicare le ricette di Salvini non porta soluzioni vere e positive, sebbene queste sembrino oggi essere in grande vantaggio “culturale”, cosa che sta avendo degli effetti devastanti sul campo e nella testa della gente. I risultati delle elezioni, il modo in cui il governo sta affrontando il problema, i media, le ultime mosse di Minniti e le reazioni della destra (“avevamo ragione noi”) dimostrano che ormai la situazione è quella per la quale chi porta un messaggio positivo sia sulle possibilità di accoglienza che sul modo in cui questa deve essere gestita viene spazzato via dalla gran cassa mediatica nella quale tutti sono contagiati da parole come “emergenza”, insostenibilità, pericolo, paura…

L’ARCI ci informa che ora anche la soluzione che molti hanno silenziosamente applicato sul territorio, quello dell’accoglienza diffusa, diventa sempre più difficile; i cittadini che si oppongono sono sempre più numerosi e i sindaci hanno difficoltà a gestire anche flussi accettabili; i rari che lo fanno sono poi obbligati a prendere più persone del pattuito, innescando logiche opposizioni: si parla di costruzione di tende, cosa che renderebbe la situazione ancora più visibilmente esplosiva.

Che fare? I contenuti ci sono. Ma forse qualche “atto esplicito” è utile.

  • Spingere per approvare subito la legge sullo Ius soli, accompagnandola con una vasta campagna e atti “pubblici” visibili; in questo senso il sostegno esplicito e la mobilitazione intorno alla legge di iniziativa popolare “Ero straniero” per eliminare la Bossi-Fini lanciata da Emma Bonino, con il sostegno esplicito di molte associazioni e forze politiche come Possibile e Verdi, è importante.
  • Le responsabilità della UE esistono naturalmente. Ma l’Italia invece di avvalorare l’ipotesi dell’invasione e dell’impotenza, deve pretendere che la UE faccia immediatamente tre cose: attivi la direttiva di protezione temporanea, che permette di accogliere e redistribuire un numero rilevante di persone in una situazione di emergenza; favorisca corridoi umanitari e magari apra alla possibilità di cooperazione diretta fra città e regioni che in tutta Europa si sono manifestati per accoglienza e apertura mettendo, come nel caso di Barcellona e Madrid, centinaia di migliaia di euro a disposizione per l’accoglienza, ma che rimangono bloccati per il rifiuto dei governi nazionali; intervenga in modo più deciso che una semplice procedura di infrazione sugli stati recalcitranti, anche bloccando i fondi. È su questi temi precisi, concreti e che contribuirebbero a ridurre l’impressione dell’invasione e della solitudine dell’Italia che l’Europa si deve muovere. E solo con queste proposte l’Italia avrebbe tutto il diritto di attivare strumenti anche duri per svegliare i partner ormai assuefatti ai diktat di Orban, ma poco inclini a soluzioni più costruttive.
  • Bisogna sconfiggere l’idea che blocca ogni politica positiva secondo la quale ogni atto a favore dei migranti e rifugiati ne attira sempre più. E che la migrazione è un fenomeno emergenziale che porta solo svantaggi. Per questo, è indispensabile dare voce e dare visibilità alle tante esperienza positive, perché sono quelle che davvero risolvono i problemi: valorizzare significa non soltanto metterle in vista in convegni e riunioni, ma renderle veri e proprie protagoniste di reti e iniziative che fanno parte di una proposta politica profondamente alternativa che dimostra sul campo che rincorrere Salvini renderà la situazione ancora peggiore.

Priorità n. 3: Prendere sul serio la lotta ai cambiamenti climatici: Green New deal “senza se e senza ma”.

In generale, la trasformazione “ecologica” del nostro modello economico verso meno sprechi e meno fossili pare un elemento di accordo acquisito nel discorso dei “progressisti”. Ma in realtà, un po’ come per l’Europa, molto rimane impreciso e soprattutto molti ritengono ancora che con questi temi non si vincono le elezioni. Errore. I 6 milioni di italiani sottoposti alla pressione di un inquinamento grave, quelli che vivono ogni giorno la contraddizione fra lavoro e salute, che soffrono per la mancanza di servizi adeguati di mobilità, di qualità delle loro case e dell’ambiente, che si oppongono allo scempio del loro ambiente sono invece moltissimi e interessati a soluzioni reali e concrete, che esistono. Un esempio potrebbe essere la legge di iniziativa popolare per la transizione energetica e il principio etico e di giustizia fiscale “chi inquina deve pagare” promossa all’interno della campagna #primaDelDiluvio di Possibile e Green Italia, che, anche rilanciando le istanze delle associazioni ambientaliste e di categoria, propone l’istituzione della CarbonTax, la sburocratizzazione delle rinnovabili, l’eliminazione delle zavorre che frenano auto-consumo, auto-produzione e scambio di energia rinnovabile tra privati.

Sono questi italiani e italiane da riconquistare tramite idee e proposte positive e da non abbandonare solo alla protesta localistica o al velleitarismo senza soluzioni dei 5 Stelle.

Essere a favore del “Green New Deal” implica però essere pronti a dure, specifiche battaglie contro poteri forti che sono state abbandonate dal PD e non solo: implica ridefinire il concetto di “concorrenza” secondo criteri di qualità e risparmio delle risorse; implica la fine della persistente servitù ai vari poteri economici speculativi, che hanno bloccato la crescita dell’Italia ben più che i problemi legati al costo del lavoro, dai concessionari parassitari, alle corporazioni, ai fautori delle grandi opere pubbliche inutili e mangiasoldi, dagli ex monopolisti energetici abbarbicati a vecchi privilegi, che continuano ad alimentare il mito di rinnovabili ed efficienza come scelte marginali e costose, a quei gruppi industriali energivori che non si rendono conto che anche per loro la competitività passa attraverso investimenti nelle risorse umane e nell’innovazione verde, come ben dimostra l’ultimo rapporto GreenItaly della Fondazione Symbola.

Implica, infine, anche parlare e trovare convergenze ed alleanze con il mondo produttivo e con le città spesso piccole che hanno fatto la scelta della sostenibilità e del “disinvestimento” dai fossili e che puntano su prodotti di qualità. Spesso sono questi amministratori, imprenditori e lavoratori a produrre nuova occupazione e attività economiche innovative: e sono sempre loro che spesso si lamentano di non avere più alcun reale referente politico.

Priorità n. 4: Il futuro della UE e ruolo dell’Italia: la battaglia sulla nuova Europa come strumento di conquista del consenso

Nel suo ultimo editoriale Scalfari dice che quando chiede agli amici di Piasapia quale “Europa” essi vogliono, la risposta è vaga e imprecisa. Invece bisogna essere precisi. Non basta essere nella foto con Merkel e Macron, anche perché entrambi hanno un’idea ben diversa dalla nostra su come l’Europa deve essere riformata. Bisogna sapere costruire alleanze e ottenere risultati, avendo bene chiaro in testa che nella UE contano i rapporti di forza, solo quelli purtroppo. Per cambiare la UE bisogna intervenire pesantemente con idee e alleanze su quelli. Non facendo atti unilaterali e solitari come quello di Minniti sulle navi Ong, che colpiscono i più deboli, o il negoziato uno a uno di Padoan, anche se ogni tanto ci vogliono anche atti dirompenti e controversi.

La nostra ambizione deve essere diversa: ovunque in Europa ci sono nuove iniziative e gruppi che si formano a partire da un’idea positiva di Europa democratica e aperta dobbiamo “esserci” evitando magari di farsi prendere dall’infatuazione della vecchia sinistra nazionalista che ha in Corbyn e in Melenchon due rappresentanti oggi molto di moda.

È chiaro, infatti, che se l’Italia sarà del tutto fuori gioco – come lo sarebbe sia con il ritorno di Berlusconi che con un governo 5 Stelle – dalla nuova dinamica che si sta mettendo in moto nella UE sarebbe tragico, perché Francia e Germania non sono mai stati sufficienti a spingere il processo di integrazione europea, anche se sia la Francia che la Germania (a tutti i livelli o quasi) pensano di esserlo. Se non c’è l’Italia, con idee e proposte chiare, ma anche gli iberici e il Benelux, se non c’è una vera alleanza tra le istituzioni europee e i paesi e popoli più avanzati, non sarà possibile rilanciare un bel nulla; in ogni caso sarà molto difficile resistere alla spinta negativa dei governi dei 4 di Visegrad, (Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia), che lavorano attivamente ed efficacemente alla loro “contro-rivoluzione” illiberale e nazionalista; e dei governi ideologicamente “austeri” che tengono da anni l’Europa nella loro morsa di devastante rigore, che non ha fatto altro che peggiorare ineguaglianze e crisi economica e la legittimità dell’intero progetto. È importante notare che anche se Le Pen o Wilders o Hofer non vincono, non è per questo detto che i loro contenuti non abbiano permeato profondamente anche quei paesi. Macron fa respingere 100 migranti a Ventimiglia, gli olandesi ancora non hanno governo, gli austriaci vanno al voto in ottobre e la prospettiva della vittoria della destra è forte. Il caos della Brexit o l’apparente ritorno di fiamma di fiducia nella UE non ci devono assolutamente ingannare: non è tempo di rilassarsi. L’Italia deve rimanere dalla parte di una UE forte e democratica, ma sulla base di contenuti precisi e strumenti di intervento efficaci. I contenuti prioritari da articolare sono: cambio radicale di direzione della politica economica della UE verso priorità di riduzione delle ineguaglianze; revisione delle priorità della politica di accoglienza ed emigrazione; ridefinizione delle priorità di investimento e spesa europea verso occupazione e crescita “verde”, educazione, cura della persona e delle città; valorizzazione della dimensione della cultura e dell’ambiente come strumenti indispensabili di lotta all’emarginazione, alla discriminazione e al declino morale ed economico.